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LA GIOSTRA DEI CRICETI – Antonio Manzini In evidenza

LA GIOSTRA DEI CRICETI – Antonio Manzini

Antonio Manzini lo conosciamo bene: sceneggiatore e scrittore di romanzi gialli che nelle classifiche dei libri più venduti gareggiano ormai alla pari coi racconti siculi del maestro Camilleri, con i Bastardi di Pizzofalcone di De Giovanni, con la Milano da bere di Robecchi, e con i romanzi di altri specialisti di un genere, il noir, che da parecchi anni sta monopolizzando o quasi il mercato della narrativa italiana. Sellerio ha da poco ripubblicato un suo vecchio romanzo, edito la prima volta da Einaudi nel 2007, intitolato La giostra dei criceti. Siamo quasi agli esordi, Manzini non ha ancora dato alle stampe i primi capitoli della fortunata saga del vicequestore Rocco Schiavone, ma nella sua prosa asciutta, disadorna, cruda, ritmata, già si intravedono i primi bagliori di quell’ironia malinconica, quell’amaro disincanto che caratterizza la sua scrittura, e che ritroveremo anche nei libri successivi, quelli della definitiva consacrazione.

 La giostra dei criceti è la storia di una rapina organizzata da quattro amici di una periferia romana, una rapina sgangherata e finita male, anzi malissimo. René, Cencio, Franco e Cinese sembrano personaggi usciti dalle pagine di un romanzo di Pasolini, sono ragazzi di vita, la cellula malavitosa, improvvisata e sprovveduta di una gioventù marcia e senza speranza, che sopravvive ai margini di una società arida di valori e di senso della legalità. Il romanzo criminale dei quattro amici-nemici, nonostante tutto molto divertente e con dialoghi scritti in romanesco, va ad intrecciarsi a quello di un’organizzazione di alti vertici dello Stato – un dirigente dell’Inps, un ministro, un generale dell’esercito, burocrati e impiegati senza scrupoli  – che lavora in gran segreto ad un piano folle e surreale denominato “Anno Zero”. Un’operazione complessa e ben congegnata che punta a risolvere il problema delle pensioni alla radice: eliminando fisicamente i pensionati. Le due trame parallele, attraverso la narrazione magistrale di Manzini, danno corpo ad un romanzo tragicomico, veloce, avvincente e carico di suspance. Un libro pessimista, senza un lieto fine, lo spaccato di una società degradata e priva di sentimenti, di un’umanità insulsa, oscena e brutale “Siamo carne da cannone, aveva detto René. Era vero. Carne da cannone. Gente che muore senza un senso, senza un’utilità. Che ha vissuto senza sapere, e senza sapere se ne va“.

Manzini possiede il pregio degli scrittori di razza: sa coniugare l’alto con il basso, la poesia con la leggerezza, il dramma con la farsa. Manzini piace a tutti, scrive bene e vende tanti libri. Non è forse questo il sogno di ogni romanziere?

Angelo Cennamo

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