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Io leggo (30)

Io leggo, rubrica di letteratura

Il caso de Bellis – Racconto breve

Il caso de Bellis – Racconto breveAvvocato, di là c'è il barone de Bellis, lo faccio entrare? – Chiese Irene a Colajanni, mentre l’Avvocato si affaccendava a sciogliere i nodi di quel “dannato” filo del telefono grigio della Sip che aveva sulla scrivania – Sì, fallo entrare – rispose l'avvocato, ancora alle prese con il suo peggiore rompicapo - e fai venire pure Eduardo – aggiunse. Saverio de Bellis era l'ultimo discendente di una nobile famiglia napoletana. Suo nonno, Francesco Saverio, l'8 settembre del 1860 fu ferito a morte da un ufficiale garibaldino durante un duello. Il giorno prima, il barone aveva avuto l'ardire di sputare per terra al passaggio di Garibaldi in via Toledo, suscitando l'irritazione di un tenente che era al suo seguito. La contesa, che si tenne all'alba sulla collina dei Camaldoli, durò solo qualche secondo. Il barone, infatti, allora ultrasessantenne, a stento si reggeva in piedi, cosicché il giovane tenente non ebbe alcuna difficoltà a trafiggerlo con un solo colpo di sciabola. Il padre di de Bellis, Ferdinando, morì di tifo non ancora quarantenne, pochi mesi dopo la nascita del piccolo Saverio. Il quale crebbe con la madre e il fratello di lei. Divenuto adulto, il barone dedicò tutta la sua vita alle belle donne e al gioco d'azzardo, sperperando nel vizio l'intero patrimonio di famiglia. In meno di vent'anni, il cliente di Colajanni era riuscito a perdere al gioco ben quattro palazzi in zona Chiaia, una tenuta di caccia a Persano e un villino a Sorrento. L'ultima residenza di via Foria gliela pignorarono a seguito di un vecchio contenzioso con il fisco : il barone non aveva mai pagato le tasse sui fitti che aveva percepito dai negozi di corso Umberto, neppure da quelli che aveva perso giocando al casinò. Dopo essersi trasferito a Torre del Greco, a casa di un suo ex maggiordomo che per un po' decise di ospitarlo e di sfamarlo, il barone aveva conosciuto e in breve tempo sposato una certa Rosetta Chiaromonte, donna di bell’aspetto e molto più giovane di lui. In pochi pensarono che i due fossero convolati a nozze per amore, ovviamente. Nessuno tuttavia poteva mai immaginare che quella strana unione si fondasse su un equivoco a dir poco clamoroso, e cioè che ciascuno dei due credesse di aver individuato nell'altro un buon partito da spolpare. Rosetta, infatti, non sapeva che il suo promesso sposo aveva dilapidato l'eredità di famiglia al gioco. Mentre a de Bellis la futura moglie aveva riferito di aver ricevuto in dote una quota dei grandi magazzini dei F.lli Chiaromonte al Vomero, fingendo di essere la figlia di uno dei proprietari. In verità Rosetta in quei negozi ci aveva lavorato come commessa solo per qualche mese per poi essere licenziata per manifesta incapacità. Così c’era scritto sulla lettera di licenziamento che il Cavaliere Chiaromonte le aveva fatto recapitare a casa. Insomma, i due sposi pur di piacersi si erano raccontati un sacco di balle. Quando de Bellis venne a sapere che la moglie era più disperata di lui e senza il becco di un quattrino, fu colto da malore. Anche perché nel frattempo aveva litigato con l'ex maggiordomo che fino a quel momento lo aveva ospitato, ed ora non sapeva più dove andare. Il barone decise allora di rivolgersi a Colajanni per ottenere l'annullamento del matrimonio - E' permesso? - chiese de Bellis sulla soglia della porta. - Egregio sig. barone a lei tutto è permesso – rispose Colajanni, che come adulatore non era secondo a nessuno - Avvocato carissimo, le ha poi assaggiate quelle aragoste che le ho lasciato in portineria la settimana scorsa? - de Bellis da quando era rimasto sul lastrico si limitava a pagare gli onorari in natura, potendo ancora disporre, nonostante tutto, di una fitta rete di amicizie in città e in Provincia - Come no, erano davvero squisite – rispose l'avvocato, andandogli incontro - ma si accomodi – aggiunse, mostrandogli la poltroncina di fronte alla scrivania. - Posso togliermi il soprabito? - chiese de Bellis, mimando il gesto di spogliarsi – ci mancherebbe, questa è casa sua – ripose Colajanni in quella gara di finti convenevoli. Il barone allora si mise a proprio agio. E dopo essersi tolto il cappotto di cammello con il collo di pelliccia, lo appoggiò sul bracciolo della poltrona ed accavallò le gambe. Ma quel gesto si rivelò molto imprudente. Così facendo, infatti, de Bellis mise in bella mostra la suola della scarpa destra, che nella sua parte centrale presentava un foro di oltre due centimetri di diametro. Quel foro riassumeva meglio di ogni altro particolare l'amaro destino al quale il barone era andato incontro a causa dei suoi viziacci - Come le accennavo al telefono, avvocato, circa un mese fa la mia cara Rosetta mi diede una triste notizia – esordì de Bellis - sa bene che io la sposai perchè innamorato e, nonostante la differenza di età, pensai che al cuor non si comanda – Barone, ma cosa vuole che conti l'età quando sono in ballo dei sentimenti così nobili? - Colajanni era davvero in forma, la sua ruffianeria stava per toccare delle vette altissime. Ed io, come al solito, rimasi incantato di fronte a quel talento di attore navigato - Mi fa piacere che ne conviene – proseguì il barone – ma veda l'unione, anche tra due persone follemente innamorate come noi, non può basarsi solo sui sentimenti. La vita, lei mi insegna avvocato, è fatta anche di altro – Ha ragione – intervenne Colajanni – ci sono le spese, le bollette.....- Ecco.....mm.... - di fronte al balbettio di de Bellis, l'avvocato tagliò corto – barò, senza soldi non si cantano messe, non c'è un cazzo da fare! - Infatti – concluse de Bellis, rincuorato dal pragmatismo spicciolo di Colajanni - Lei, quando si è unito in matrimonio con la signorina Rosetta, era o non era convinto che la sua futura moglie fosse la figlia di Gennaro Chiaromonte? - chiese con impeto l'avvocato – Sì che lo ero, benché per me si trattasse di un semplice dettaglio – rispose, imbarazzato il barone – ma quale dettaglio, barò! Lo vogliamo annullare o no questo matrimonio? - incalzò l'avvocato – Certamente – disse il barone – e allora quanto è accaduto non è affatto un dettaglio! Al contrario, lei è incorso in un errore di persona. Intendo dire che lei ha creduto di sposare una donna e se n'è ritrovata un'altra - concluse Colajanni – Sì, proprio così, Rosetta mi ha ingannato! Avvocato, procediamo!- de Bellis firmò la procura e salutò.

(Angelo Cennamo)

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La Camera Azzurra uno dei romanzi più riusciti del prolifico Georges Simenon,

La Camera Azzurra uno dei romanzi più riusciti del prolifico Georges Simenon, “Se io mi ritrovassi libera, faresti in modo di renderti libero anche tu?” Tony Falcone non aveva dato peso a quelle parole, coperte quasi dal rumore del treno “Lui e Andrèe erano due solo a letto, in quella camera azzurra che con una sorta di sfrenatezza impregnavano del loro odore”.Tutto sarebbe rimasto confinato in quello spazio, pensava lui, fuori dal tempo e dalla verità. La Camera Azzurra – pubblicato nel  1964 – è uno dei romanzi più riusciti del prolifico Georges Simenon, lo scrittore belga famoso per aver ideato il leggendario Maigret. Eppure la parte migliore della produzione letteraria di Simenon comprende una corposa serie di racconti e di romanzi che non sono ascrivibili alla categoria dei cosiddetti polizieschi – brutta parola, poco adatta anche a definire le storie che hanno come protagonista il celebre commissario parigino. Il tema narrativo de La Camera Azzurra è tra i più abusati nella storia della letteratura: l’adulterio. Scrivere un romanzo di successo parlando di tradimenti, dopo tutto quello che è stato raccontato sull’argomento dall’Iliade in poi, passando per Otello e Desdemona, può richiedere uno sforzo sovrumano. Si rischia di inciampare in una banalità scritta chissà quante volte. E’ capitato e capita a molti scrittori, ma non a Simenon, autore eclettico, dalla  vena originale e inesauribile, capace di attraversare qualunque genere letterario e di mandare in stampa un romanzo dopo appena venti giorni di lavoro metodico. Da grande maestro della narrativa, Simenon riesce a catturare l’attenzione del lettore con ogni dettaglio, anche il più insignificante: un rumore di passi, una luce che filtra attraverso la porta socchiusa, il gesto lento e silenzioso di un passante, il respiro affannoso di un bugiardo. La Camera Azzurra è la storia di un’attrazione fatale che non si interrompe neppure davanti a un duplice omicidio. Ogni giovedì pomeriggio Tony e Andrèe vivono ore di passione in un albergo fuori città. Tutto era cominciato per caso: una ruota bucata, lo sguardo invitante di lei, il cedimento palpitante di lui, proprio lì, sul ciglio della strada. Per Madame Despierre quegli incontri furtivi, concordati con un segnale dietro la finestra, sono una vera ossessione, una mania devastante che le imprigiona il corpo e l’anima. Un uragano di lussuria e crudeltà che travolge due famiglie e l’incolpevole Tony, anche lui come la sua amante condannato dal vortice di quella insana passione più di quanto non faranno i giudici della Corte d’Assise: “Mai, neppure nei momenti in cui  i loro corpi erano stati più uniti, l’aveva trovata così bella, così raggiante”. Il Simenon che non ti aspetti, il sublime narratore dell’eros violento e irrefrenabile, dell’abbraccio mortale di due complici sfacciati e insaziabili. Com’è lontano Maigret.

(Angelo Cennamo)    

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LA MACCHIA UMANA, il miglior romanzo di Philip Roth.

La macchia umana, recensioneColeman Silk è uno stimato professore di lettere classiche all’Università di Athena, nel New England. Come preside della facoltà, e col pieno appoggio del nuovo rettore, Coleman prende il comando di un college antiquato, stagnante e sonnolento e, non senza pestare i piedi a tutti, gli toglie l’etichetta di casa di riposo per anziani professori incoraggiando i rami secchi a chiedere il prepensionamento, reclutando giovani e ambiziosi assistenti  e rivoluzionando il programma di studi. Un giorno però basta una parola detta per sbaglio e male interpretata a scatenare l’inferno. Coleman deve difendersi da un’ingiusta accusa di razzismo che lo costringe ad abbandonare l’Università. A quel punto tutto il suo mondo, la brillante carriera accademica, la sua bella famiglia crollano sotto il peso della impurità, della crudeltà, dell’abuso e dell’errore. All’età di 71 anni, dopo aver perso gloria e reputazione, e pure sua moglie – uccisa dal dolore per quel tragico stravolgimento, il professor Silk inizia una relazione con una donna delle pulizie trentaquattrenne che lavora al college: “si chiamava Faunia Farley, e qualunque fosse la sua infelicità, la teneva nascosta dietro uno di quegli inespressivi volti ossuti che, senza nulla celare, tradiscono un’immensa solitudine”. La giovane vita di Faunia è segnata da una serie infinita di deviazioni e di tragedie familiari. Con il vecchio ma “dinamico” Coleman, la bidella tuttofare di Athena scopre una dimensione umana fino ad allora inesplorata, fatta di cultura, tenerezza e rispetto. Ma non basta: Faunia è anche la sola depositaria del segreto che Coleman per 50 anni ha nascosto a tutti, perfino a sua moglie e ai suoi figli. Un segreto che il vecchio preside porterà insieme a lei nella tomba, nell’ultimo tornante di quella seconda vita. Il miglior romanzo di Philip Roth.

(Angelo Cennamo)         

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Il Tempo è un bastardo di Jennifer Egan

Il Tempo è un bastardo di Jennifer EganJennifer Egan è una brillante scrittrice americana, nata in quella Chicago che ha partorito anche altri talenti della narrativa moderna. Il Tempo è un bastardo, premiato nel 2011 col Pulitzer e conil National Book Critics Circle Award, è il suo romanzo di punta. La struttura del libro è insolita, la trama infatti si snoda attraverso una serie di racconti apparentemente scollegati tra di loro, ma i cui protagonisti sono sempre gli stessi: Bennie Salazar, ex musicista rock-punk poi diventato discografico di successo, Sasha, la sua fidata collaboratrice con un vissuto piuttosto tormentato eburrascoso, ed altri vecchi compagni di scuola e di vita che entrano ed escono dal romanzo a rotazione. Bennie e Sasha sono una coppia rodata, lavorano insieme da molti anni, legati da un affetto speciale che però non si è mai spinto alla relazione fisica  Non ci provare, Bennie: sei troppo importante per me.

Il Tempo è un bastardoversione italiana di  A Visit From The Goon Squad– pessima abitudine quella di cambiare i titoli originali ai libri o ai film - è la storia di una lunga amicizia tra alterne vicende familiari e professionali – figli, divorzi, tradimenti, fallimenti vari - ambientata nel mondo della musica e dello star-system, con tutti gli annessi e connessi di questo mondo. Ci siamo capiti. La qualità della scrittura di Jennifer Egan è pari a quella dei migliori autori americani della sua generazione: Chabon, Franzen, Eugenides, Eggers, Lethem. La prosa raffinata scorre leggera e senza intoppi dando corpo ad un romanzo nel complesso interessante che tuttavia pecca di discontinuità e in alcune parti di originalità; è possibile infatti ritrovare nel corso delle storie brandelli e atmosfere di  libri altrui o protagonisti dal profilo già visto. Il risultato è quello di un impianto narrativo debole ma dalle rifiniture solide e ben congegnate. Nei primi racconti la Egan riesce a tenere il lettore incollato alla trama in attesa di una svolta che però stenta ad arrivare. Il romanzo infatti si perde in una serie di fatti e divagazioni non sempre interessanti, per ritrovare ritmo e suspance solo nel capitolo ambientato tra i musei e i vicoli di Napoli. Qui l’autrice dà il meglio di sé traducendo in parola scritta i colori, gli odori e le suggestioni dei decumani alla stregua di Elena Ferrante e Raffaele La Capria. Nel complesso romanzo godibile, dallo stile sobrio ed elegante. Non un capolavoro.

(Angelo Cennamo) 

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LE INTERVISTE IMPOSSIBILI : “INFINITE JEST” COMPIE 20 ANNI

LE INTERVISTE IMPOSSIBILI : “INFINITE JEST” COMPIE 20 ANNIArrivo a Claremont – California - in perfetto orario. Dal sedile del taxi riconosco la casa‎ dalle vetrate ampie e dai cani che si rincorrono dietro al cancello. Lui e' davanti alla porta di ingresso, in piedi: pantaloni della tuta, scarpe da ginnastica, felpa e smanicato, gli occhiali alla John Lennon e l'immancabile bandana. Nella mano destra ha una bottiglia di Gatorade, come se avesse da poco terminato una corsa.

Ha il viso stanco e non sembra contento di vedermi. Buongiorno - dico, avvicinandomi al prato inglese che circonda la casa. Salve - risponde, accennando un sorriso. Con l'altra mano mi fa segno di entrare. Chiama i cani a se' rassicurandomi che non mi faranno niente. Non e' alto come immaginavo. Ciao - mi saluta di nuovo, in italiano. Questa volta sorrido io. Ci stringiamo la mano. E' visibilmente sudato. Non mi sbagliavo: poco prima aveva fatto jogging. Mi fa accomodare nel salone a pianterreno, su un divano di pelle bianca. Davanti al divano c'è un tavolino basso, di legno nero, sopra dei barattoli vuoti di Pepsi, popcorn dappertutto e una copia di Infinite Jest aperta. Le pagine sono scarabocchiate e molti righi sottolineati con una matita di colore rosso. La mia copia, invece, quella che mi sono portata dall'Italia per la dedica, e' intonsa come se non avessi mai letto il romanzo.

Sulle pareti poster di tennisti, una famosa stampa di Warhol che riproduce il viso di Marylin in quattro quadranti e una foto di lui con Jonathan Franzen. La riconosco. Eravate a Capri - dico. Sorride e fa segno di si con la testa. Lui e' il mio migliore amico, aggiunge smorzando il sorriso iniziale. Come la preferisci l'intervista? Sai, non ho tanta voglia di addentrarmi nella mia vita privata e ho poco tempo. Diciamo che non è un buon momento. Mi dispiace - gli dico. No no, niente di grave, tranquillo. E' che sono impegnato con una roba grossa, un libro che non riesco a finire. Mi tormenta notte e giorno. Un libro che racconta una mia esperienza personale, a Peoria, nell'Illinois. Vorrei che sembrasse un romanzo, ma non lo e'. Ci sono tutto dentro, in alcune pagine mi presento ai lettori col mio nome: Salve, io sono Dave. Capisci? Si, certo, dev'essere spiazzante. Come sempre, del resto. Si, qualcosa di choccante, di forte - dice. Parlo della noia, ma non voglio essere noioso. E' pazzesco, lo so. Sono a metà o poco più della metà. Vuoi una Pepsi? Sei italiano, preferirai del vino. No, grazie, va bene la Pepsi. Ok, vado a prenderla e cominciamo.

Nella breve assenza vengo attratto da uno scaffale, sul lato destro della stanza. E' appesantito da un centinaio di libri. Sulla parte alta sono accatastate delle racchette. Provo a leggere i titoli e i nomi degli autori, ma sono troppo distante. Eccolo che arriva. Allora, come e' andato il viaggio? Male, grazie - rispondo. Ho una paura fottuta degli aerei - Come me! Accidenti, allora avevi proprio voglia di vedermi. Dimmi un po' ma Infinite Jest tu lo hai letto per davvero? Non sarai per caso uno di quei giornalisti che vengono qui ad intervistarmi dopo aver dato un'occhiata su internet? Certo che l'ho letto! Gli dico. L'ho letto tutto, dalla prima all'ultima pagina, note comprese. Ok ok. Comunque scherzo, non farci caso. Che dici, Dave, partiamo? Chiedo. D’accordo, vamos! Clicco sul tasto play del registratore. Emozione

Dave, quest’anno, a febbraio, Infinite Jest compie 20 anni. Come è cambiata l'America in tutto questo tempo? Molte cose che hai scritto nel libro si sono avverate. Penso ad esempio al problema della dipendenza

Non é cambiata affatto, anzi, vedo tante persone chiuse in casa, ipnotizzate dai social‎. Nessun contatto col mondo reale, pochi slanci emotivi. Famiglie di sociopatici distrutte dal silenzio e dalla dipendenza da tablet. Un'isteria collettiva. Che pena il solipsismo.


I protagonisti del tuo romanzo sognano il successo nel tennis e pur di arrivare sono disposti a tutto

Esatto. Non hanno alternative, non hanno conosciuto altro. Vivono in una società che ha fatto della competizione la prima ragione di vita, forse l'unica. Voglio dire, ti fanno credere che se arrivi secondo non vali niente. Non puoi consentirti la sconfitta. Sconfitta uguale emarginazione, emarginazione uguale morte. Dovremmo fuggire da questo modello di vita e difenderci dal bombardamento quotidiano della pubblicità. Io la cultura di massa non la sopporto. Non si tratta di snobismo, è che non la sopporto proprio. Detesto quei quiz stupidi in tv. Soprattutto i reality. Sono programmi pazzeschi, ti annientano il cervello.

Tu da ragazzo hai giocato a tennis, ami molto questo sport, non è vero?

Vero. Ho scritto anche dei saggi sul tennis. Adoro i tennisti come Roger Federer: talento, forza atletica e umiltà. Da ragazzo me la cavavo, facevo dei lob perfetti. Poi ho avuto un incidente e ho dovuto abbandonare. Pazienza


Quante copie ha venduto nel mondo Infinite Jest ?

Non lo so di preciso. Credo tante. Devo dire che non me l'aspettavo. Nel senso che non mi aspettavo che un libro di 1.300 pagine potesse avere un certo riscontro di pubblico oltre che di critica. Ad ogni modo non scrivo con l'assillo delle vendite, non ho mai aspettative di questo tipo. Però fa piacere sapere che quello che scrivi viene apprezzato, viene condiviso dagli altri. Come dire, è gratificante. Sì, gratificante

Molti giovani non leggono, sono presi solo da internet, dai social. Credi che la letteratura abbia i giorni contati?

Bella domanda. Spero di no. Vedi, la scrittura cambia pelle, si trasforma, evolve in altre forme, ma credo che sopravviverà. Anche gli sms, le interazioni sui social sono forme di scrittura. La parola scritta non morirà mai. Non può morire. E poi la narrativa ci aiuta a non sentirci soli, ci tiene compagnia. E' questo il compito essenziale dei romanzi: combattere la solitudine.


A proposito di scrittura, molti ti considerano un genio perché hai inventato un nuovo modo di scrivere, hai stravolto tutti i canoni della letteratura. Dicono che dopo di te la letteratura non e' piu la stessa. Ne hai la consapevolezza?

Dicono così? Be', mi rendo conto di essere un po' strano, questo sì. Diciamo che mi diverte rompere gli schemi, sorprendere i lettori. Ma non lo faccio per esibire il mio presunto tra virgolette talento. Non lo faccio per dire ai lettori: vedete come sono bravo o roba del genere. Non mi interessa. Cerco solo di essere me stesso, di mostrare la mia natura più profonda per quella che e', senza filtri e senza ricorrere alla retorica della prosa più convenzionale. A volte mi chiedono della punteggiatura. Cazzate. La punteggiatura e' una convenzione. Quando parli con qualcuno e hai tante cose da dirgli, i punti e le virgole non si vedono. Capisci cosa intendo dire?

C'è una frase in questo libro che amo molto: “I tergicristalli dipingono arcobaleni neri sul parabrezza luccicante dei taxi”

(Ride). Piace molto anche a Karen (sua moglie). Gli arcobaleni neri sono il bene e il male che ci portiamo dentro. Tutti abbiamo un arcoableno nero nell'anima. Quell'arcobaleno ci fa paura, e' come lo spettro di uno spirito maligno, vorremmo cancellarlo. Mi piace pensare che i miei romanzi possano aiutare le persone a guardarsi dentro e a non avere paura di quel colore, il nero intendo

Nel 2006 sei venuto a Capri – Napoli - la mia città

Sei napoletano? Mi interrompe - Wow! Dalle tue parti si mangia da Dio! Ricordo delle insalate di polpi straordinarie. Napoli è una città affascinante e ricca di stimoli per uno scrittore. E’ malinconica. Un po’mi somiglia, ma è troppo caotica per i mie gusti. Se vuoi ordino una pizza, ma non farti illusioni: non è Marechiaro qui. Scusa, mi avevi chiesto di Capri. Si ci venni con Jonathan e Jeffrey (Eugenides) per un convegno organizzato da Antonio Monda? Si, mi pare si chiamasse così. Fu una bella esperienza. Ho scoperto che la letteratura americana dalle tue parti è molto apprezzata. L’Italia è una terra di grandi scrittori: Svevo, Pirandello, Pasolini, Eco. Mi piacerebbe tornarci, ma è troppo lontano e non amo i viaggi lunghi. Soprattutto in questo periodo.


Qual è, se esiste, il romanzo al quale ti senti più legato?

Non saprei, ne ho scritti così pochi. Quello al quale sto lavorando adesso e' forse il libro che mi somiglia di più. Voglio che sia così. Da qualche settimana però sono fermo. Non riesco ad andare avanti. E' angosciante, sai? Non mi era mai accaduto prima. Forse ho solo bisogno di una pausa. Vieni - Si alza di scatto dal divano.

Dove andiamo?

In garage. Voglio mostrarti il materiale che ho raccolto.


Il garage e' dietro la casa. Per arrivarci attraversiamo un vialetto laterale. I cani ci seguono. Dave alza la porta di ferro marrone scuro, con le scanalature. Entrando vengo investito da un tanfo di panni sporchi e di cibo avaiato. Lo stanzone è molto profondo, silenzioso e illuminato solo dalla luce artificiale di un grosso neon installato al centro del corridoio iniziale. Lungo la parete sinistra sono ammassati degli scatoloni pieni di libri. Più avanti altri scatoloni con appunti, dischetti e quaderni vari. Dave mi mostra alcuni manoscritti. Sono illeggibili. Mentre si abbassa di nuovo mi guardo intorno. Ad un tratto il mio sguardo s‎i posa su un particolare del soffitto: il corridoio del garage e' attraversato in senso longitudinale da alcune travi di legno massiccio. Dave si volta. Vede che ne sto fissando una in particolare. In quel punto il legno è scheggiato, e sulla parte centrale ci sono delle lettere cerchiate. Scuote il capo. Vuoi sapere se è accaduto qui? Quella domanda, così diretta, mi toglie il fiato - Cosa? No, veramente - Dai, l'ho capito a cosa stai pensando. Si, è successo proprio dove sei adesso. In quel punto li. Ma non chiedermi altro - Il volto di Dave ha cambiato espressione. E' come se la mia curiosità avesse profanato la sua tomba. D'accordo - dico io, scusandomi. Ma poi per cosa? E' stato lui a condurmi nel garage. Ok ok, non preoccuparti – mi dice. Usciamo. Dave chiude la porta del garage tenendo sotto il braccio degli appunti che ha preso da un cassetto di una scrivania ricoperta di faldoni ben ordinati su tre file. Riattraversiamo il vialetto e ritorniamo in casa. Il sole è calato e si alzato un leggero vento - Scusami , Dave, non volevo – provo a ricucire lo strappo. Di nulla. Va tutto bene - dice lui - Ora però se non hai altre domande da farmi sul libro, io andrei. Sono stanco e domani ho una giornataccia - D'accordo - gli dico - A proposito, non ho ancora firmato la tua copia - Dave prende un pennarello nero dal tavolo e allunga il braccio per ricevere la mia versione italiana di Infinite Jest. E' per me il momento più emozionante del nostro breve incontro. Sulla pagina bianca che precede il primo capitolo scrive: "Al mio amico (friend) italiano A. - Dave Wallace". Ecco fatto. Un'ultima domanda - Dimmi - Come ti piacerebbe essere ricordato un giorno? Fammici pensare. Come un antidoto alla solitudine. Ci salutiamo con un abbraccio. Mi accompagna alla porta. Grazie - gli dico - Grazie a te e buon viaggio - risponde lui. Attraverso il prato inglese avviandomi verso il taxi che mi sta aspettando oltre il cancello. Sta cominciando a piovere. Uno dei cani mi segue scodinzolando fino all'auto. Entro in macchina. Oddio il libro! Devo averlo dimenticato sul divano. Ripercorro il viale di corsa, sotto la pioggia che inizia ad infittirsi. Busso alla porta bagnato fradicio. Mi apre un signore anziano - Scusi, cercavo Dave, Dave Wallace - Dave Wallace? Mr Wallace e' morto 8 anni fa. Non abita più qui.

(Angelo Cennamo)

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Con un libro di Michael Chabon ti ritrovi al cinema a vedere l’America.

Con un libro di Michael Chabon ti ritrovi al cinema a vedere l’America.Apri un libro di Michael Chabon e ti ritrovi al cinema a vedere l’America. Lui, lei, gli altri, la metropoli, i suoni. Parole che scorrono come immagini su uno schermo che somiglia alla pagina di un giornale a fumetti. Già i fumetti, un’arte che Chebon deve conoscere alla perfezione, così come la magia, l’illusionismo, l’intero mondo dello spettacolo.

Le Fantastiche avventure di Kavalier e Clay  è un romanzo che vale il premio Pulitzer per la narrativa. Siamo nel 2001, per intenderci l’anno in cui Jonathan Franzen pubblica Le Correzioni  e Joyce Carol Oates dà alle stampe Blonde  –  una fortunata congiunzione astrale sui cieli d’America quell’anno. Il giovane ritrattista e aspirante mago Josef Kavalier scappa da Praga, occupata dai nazisti, per raggiungere suo cugino Sammy a New York. La fuga cinematografica di Josef ricorda un famoso numero di Henry Houdini, idolo di Josef e di tanti ragazzi di quella generazione. L’approdo a New York è la sua salvezza, l’agognata libertà. Non solo. I due cugini  diventano in breve tempo un’affermata coppia di disegnatori  e danno vita al più celebre eroe dei fumetti: l’Escapista. Con le loro storie fantastiche Joe e Clay spopolano ovunque, radio e tv comprese. Ma il successo e il denaro non sono tutto, non bastano a ripagare la sofferenza per gli orrori della guerra e il distacco dagli affetti più cari. Josef è preoccupato per le sorti della sua famiglia rimasta a Praga e fa di tutto per ricongiungersi con il fratellino Tommy. Forse la guerra li ha separati  per sempre. A New York ha trovato l’amore e la popolarità, ma quel vuoto va colmato ad ogni costo. Tra alterne vicende ed imprevedibili ribaltamenti familiari, le avventure degli inseparabili  Joe e Clay attraversano tre decenni di storia americana. Una storia vibrante e ricca di spunti commoventi che incrocia i destini di altre celebrità del cinema, della musica e dell’arte. Un viaggio meraviglioso nella cultura pop e nello show business americano, raccontato con umorismo ed eleganza da un autentico fuoriclasse della letteratura contemporanea. Benvenuti nel fantastico mondo di Chabon.

(Angelo Cennamo)      

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John Fante, la sua vita è stata un romanzo straordinario e commovente.

John Fante,  la sua vita è stata un romanzo straordinario e commovente.Alla metà del 1930, un giorno partì. Aveva un dollaro e 33 centesimi. Con l’autostop e prendendo il treno senza biglietto, arrivò a Los Angeles. Leggendo il fitto e straziante epistolario raccolto in Lettere 1932-1981 capiamo perché i libri di John Fante sono sempre autobiografici:  perché tutta la sua vita è stata un romanzo straordinario e commovente. Dalla pensioncina di Bunker Hill, a Los Angeles, l’aspirante scrittore scriveva spesso alla “Cara madre” per tenerla al corrente delle sue disavventure ma anche delle buone prospettive di lavoro: “ Cara mamma, sono ridotto ai miei ultimi 15 dollari, ma alla fine qualcosa di buono è saltato fuori, e credo comincerò a lavorare lunedì o martedì prossimo. Se si concretizzerà, guadagnerò cinquecento dollari alla settimana per otto o dieci settimane”. Accadrà di rado.

Alla cugina Jo, Fante  preannuncia la pubblicazione di quello che si rivelerà a distanza di anni il suo capolavoro Chiedi alla polvere : “Sto finendo il mio romanzo, si intitolerà Ask to dust. Parla di una ragazza che amavo, ma lei amava un altro”. Perfetta la sinossi. Romanzo di successo sì,  ma passeranno molti anni prima che il grande pubblico se ne accorga. Anche per questo la povertà non smette di inseguirlo “La povertà ha un effetto disastroso sul mio lavoro” scriverà ad un amico per chiedergli un prestito, uno dei tanti. Per sbarcare il lunario Fante decide allora di scrivere per il cinema; nonostante la depressione seguita al crollo di Wall Street, nel mondo della celluloide circola molto denaro. Una scelta obbligata e in contrasto con le sue aspirazioni di romanziere ”John dovrebbe  limitarsi a scrivere libri. Scrivere dei film, per quello che ne so, è uno spreco di talento e di tempo. Anche se ora il salario del cinema ci fa comodo” dirà la moglie Joyce ad un editore amico di suo marito. Aveva ragione. Ma sarà soprattutto grazie a soggetti e sceneggiature che Fante riuscirà a tirare avanti e ad avere nuove opportunità per scrivere i suoi libri.   

Chiedi alla polvere racconta la storia di un giovane scrittore, Arturo Bandini, alter ego di Fante, il quale dopo anni di stenti e delusioni trova finalmente il grande successo. Il romanzo diventerà un besteseller solo  grazie ad una futura riscoperta di Charles Bukowski. A un suo lettore affezionato che lo inonda di lettere, l’autore scrive così : ”Vuole sapere se io sono Arturo Bandini, e io le dico che lo sono – in particolare l’Arturo di Chiedi alla polvere , anche se non interamente l’Arturo del mio primo libo. La storia d’amore di Chiedi alla polvere è quasi vera nel senso che una volta sono stato infatuato della ragazza del romanzo, e lei, secondo me, è affascinante nella vita reale  tanto quanto ho cercato di farla apparire nel romanzo. Oggi è a Spring Street a Los Angeles, lavora nello stesso bar che ho descritto nel romanzo, essendoci tornata dal manicomio, dal deserto, e punta verso il Nord. Se un giorno avrò la fortuna di incontrarla a Los Angeles la porterò là e gliela farò vedere e conoscere”. Questo romanzo Fante lo ha amato moltissimo, non c’è dubbio. Certamente più di Full of life il libro che più di tutti gli fece guadagnare popolarità e denaro: “Full of life è stato scritto per soldi. Non è un romanzo molto bello”.

Negli anni ’60  una nuova opportunità: Fante conosce il produttore Dino De Laurentiis e verrà diverse volte in Italia per scrivere un film che dovrà avere come protagonista Jack Lemmon. Per una serie di contrasti interni alla produzione, il film non verrà mai ultimato. Di quella esperienza ci restano le lettere scritte alla moglie e ai figli dall’Hotel Vesuvio di Napoli. Pagine davvero deliziose che  raccontano di una città povera per essere uscita da poco dalla guerra, ma al tempo stesso romantica e affascinante “Il posto è incantevole e il cibo meraviglioso. La mia camera dà su via Caracciolo, il lungomare che costeggia la baia. Dal balcone vedo tanti bambini che giocano scalzi per strada e si divertono. Sono felici. Qui a Napoli ci sono molti negozi di moda, i prezzi sono bassissimi. Anche molte librerie”.       

Tra alterne fortune e debiti di gioco – pare che in una sola partita riuscisse a perdere anche 1000 dollari –  Fante conobbe i suoi momenti migliori negli anni ’70, grazie alla riscoperta dei suoi romanzi e al supporto dell’amico fraterno Charles Bukowski. In questi anni venne pubblicato un altro suo capolavoro:  La confraternita dell’uva, il romanzo che racconta il difficile rapporto con il padre, lo scalpellino italiano che emigra negli Usa e con il quale John trascorre un’intensa settimana di lavoro in montagna, con i suoi amici, avvinazzati più di lui. Ed eccoci alla nota forse più dolente di questa lunga storia: l’alcol. Vini e liquori si riveleranno infatti una vera e propria maledizione per tutta la famiglia Fante: John si ammalerà di diabete, perderà la vista e vivrà gli ultimi anni su una sedia a rotelle, senza gambe.“Caro Carey, la perdita più grande dopo quella di una gamba è la capacità di scrivere . E’ come lottare con un pesante pneumatico appeso al collo. Cado spesso. Non potrei vivere senza Joyce: mi pulisce il culo, mi fa la barba. Sono fortunato. Resta in piedi, Carey, non cadere.”

Morì l’8 maggio del 1983. Aveva 74 anni. Quando nel 1980 la Black Sparrow press ristampò Chiedi alla polvere su richiesta di Bukowski, Fante era stato dimenticato quasi del tutto come romanziere. L’editore John Martin non l’aveva sentito mai nominare. Poi cominciarono a ristampare le sue opere in tutto il mondo, soprattutto in Francia, dove Fante è tuttora più popolare che negli Usa.

Angelo Cennamo

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Un romanzo di David Foster Wallace è un’esperienza meta-letteraria.

Mi siedono in un ufficio, sono circondato da teste e corpi. La mia postura segue consciamente la forma della sedia. Maneggiare un romanzo di David Foster Wallace è un’esperienza meta-letteraria. E’ letteratura ma anche qualcos’altro: un lievissimo choc, direbbe il Troisi di Ricomincio da tre. Un viaggio senza ritorno nelle viscere dell’umanità, il tentativo di esplorare un luogo sconosciuto di noi stessi e del mondo che ci sta intorno da una prospettiva nuova, inusuale, a metà strada tra l’iperrealismo e la follia. Ma perché uno scrittore oscuro e difficile come Wallace piace così tanto? Perché in quelle oscurità forse ritroviamo le nostre malinconie e le nostre insicurezze. Perché non esisteva scrittore vivente dotato di un virtuosismo retorico più autorevole, emozionante e inventivo del suo: I tergicristalli dipingono arcobaleni neri sul parabrezza luccicante dei taxiInfinite Jest  è un libro che per la sua mole - 1.280 pagine fittissime – incute terrore e scoraggia anche i cultori più incalliti della parola scritta. Lasciare però quel malloppo di carta in bella vista sulla scrivania alla stregua di un fermacarte qualunque o di un vecchio almanacco, temendo che la smisurata lunghezza possa annoiare o peggio logorarci i nervi fin dai primi capitoli – può accadere se non si è rodati al postmoderno spinto - è più di un peccato veniale: è negarsi a una rigenerazione emotiva che dopo tutto finisce per amplificare la nostra qualità di lettori – dopo aver letto Wallace si diventa lettori terribilmente esigenti. Una catarsi dunque. Ma prima della catarsi, il supplizio, sfiancante, ai limiti della sopportazione. Infinite Jest  è un romanzo meravigliosamente faticoso. Nei momenti di scoramento si ha voglia di lanciare il mattone contro la parete della camera da letto e maledire il critico della rivista o l’amico - in questo caso nemico - che ne ha consigliato l’acquisto. Ma dura poco. Dura poco perché dai libri di Wallace e dallo stu-po-re che generano le sue trame è difficile stare lontani. Quel vigore narrativo sempre sopra le righe, quella capacità rara di destare curiosità con un semplice dettaglio o con un dedalo di assurde coordinate dentro il quale ritrovare il soggetto della frase principale può diventare un vero rompicapo: è questo il genio letterario di Wallace. Infinite Jest  è un murales di emozioni profonde, dipinto con una prosa schizofrenica e così argomentativa da cancellare quasi la distinzione tra narrativa e saggistica. Un romanzo fluviale senza trama e senza un vero finale che racconta di una società rassegnata al proprio annientamento psichico e fisico. In un tempo imprecisato e sponsorizzato gli Usa avranno inglobato il Messico e il Canada in una supernazione chiamata ONAN. Wallace ambienta il romanzo all’interno dell’ETA ( Enfield Tennis Academy), un liceo per giovani promesse del tennis che sognano di  giocare nell’ATP “lo Show”, e all’Ennet House, un centro di riabilitazione per alcolisti e drogati che puzza del tempo che passa. Come tutti i protagonisti della storia, i ragazzi dell’ETA sono sopraffatti dalla noia e invischiati nell’uso di sostanze ricreative.  Infinite Jest è anche il titolo di un film misterioso che ipnotizza gli spettatori condannandoli ad una pericolosa assuefazione. Un’arma letale che può cambiare il corso degli eventi. Eccoci  dunque al tema del romanzo: la dipendenza. Dipendenza da qualunque cosa, non solo dall’alcol e dalle droghe. Forse anche dallo stesso libro che imprigiona il lettore più intrepido fino alle note del post scriptum in una sorta di stato catatonico: il magnetismo di Wallace è un argomento da approfondire, da studiare. Dicevamo della trama come espediente dell’autore per raccontare molto altro attraverso divagazioni su fatti, luoghi e personaggi, seguendo i consueti schemi labirintici ai quali the genius ci ha abituato per guidarci nel suo mondo enigmatico e ricco di suggestioni: dilatazioni spazio-temporali, periodi lunghi e frammentati senza mai un capoverso, punteggiatura fantasiosa. Un tracciato avventuroso che ci lascia senza fiato, attoniti. Del realismo isterico di Wallace e dell’impossibilità di cogliere fino in fondo tutte le sfaccettature della sua grammatica mentale non si può dire di più. La cosa più faticosa della mia vita dice Edoardo Nesi che del libro ha curato la traduzione in italiano. Cos’altro aggiungere: Infinte Jest  è un romanzo monumentale in ogni senso - il tomo è alto quanto il palmo di una mano - scomodo anche nell’approccio fisico. Ma è un’opera superba e irripetibile che attraversa molti generi, una scheggia di autentica bellezza tra i classici della letteratura moderna. Un libro che non si dimentica.

(Angelo Cennamo)                    

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L'UOMO CHE GUARDAVA PASSARE I TRENI di Georges Simenon

La figlia Frida faceva i compiti, la moglie maman incollava le figurine nell’album, mentre lui girava le manopole della radio fumando un sigaro: la vita anonima di Kees Popinga scorreva ordinata in una noiosa quotidianità fatta di silenzi, consuetudini e desideri repressi. Ma una sera di dicembre un tragico imprevisto la cambiò per sempre.

L’uomo che guardava passare i treni, romanzo pubblicato per la prima volta nel 1938, appartiene a quella vasta collana di capolavori senza Maigret di Georges Simenon, che il Corriere della sera sta proponendo ai suoi lettori in allegato al giornale. Il romanzo è ambientato tra l’Olanda e la Francia. Il protagonista è uno stimato funzionario di una ditta di forniture navali sull’orlo della bancarotta. Popinga apprende la notizia del misterioso fallimento proprio nell’imminenza dei fatti. La notizia però non lo sconvolge, anzi si trasforma in uno strano grimaldello che gli apre la porta su un’esistenza nuova, inspiegabilmente più affascinante ed emozionante dell’altra. Dal suo datore di lavoro l’impassibile Popinga incassa gli ultimi fiorini rimasti in azienda e il giorno seguente scappa di casa senza destare alcun sospetto. Inizia così una breve ma intensa latitanza per una serie di omicidi, veri e presunti, che lo trasformeranno nel criminale più pericoloso e ricercato di Francia. I giornali e la radio parlano di lui e lui se ne compiace al punto di interagire con la stampa e di sfidare il commissario di Polizia che si è messo sulle sue tracce. Popinga e Lucas sono come due giocatori di scacchi che scelgono le loro mosse senza conoscere il gioco dell’avversario. La nuova vita da fuggitivo è esaltante, lo diverte. Da ricercato, Popinga non è più prigioniero delle sue vecchie abitudini, per la prima volta si sente un uomo libero, e poco importa se deve stare attento agli spostamenti e alle persone che incontra per non cadere in fallo. Come un delinquente esperto ed incallito, Popinga pondera bene ogni iniziativa annotando ogni cosa su un’inseparabile agendina. Quella strana apatia, quell’intrepida strafottenza ci riporta ad un altro celebre protagonista della narrativa francese, il Meursault de Lo Straniero di Camus, il piccolo borghese che uccide uno sconosciuto senza motivo, e che va incontro al proprio destino senza alcun rimorso e senza paura.

L’uomo che guardava passare i treni è un romanzo breve ma intenso, ricco di suspance e carico di introspezione. Un libro tecnicamente perfetto, senza sbavature e divagazioni inutili, scritto da un maestro della letteratura che della metodicità alla Popinga ne fece uno straordinario mestiere.

Angelo Cennamo

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Aspettando Purity leggiamo Le Correzioni, capolavoro assoluto di Jonathan Franzen.

Jonathan FranzenAspettando Purity, disponibile nelle librerie italiane dal prossimo mese di febbraio ma già evento letterario dell’anno negli Stati Uniti e in mezzo mondo,  non vi dispiacerà - se non lo avete ancora fatto - tuffarvi nelle 599 pagine de Le Correzioni,  terzo romanzo in ordine cronologico e capolavoro assoluto di Jonathan Franzen. Leggere Franzen non solo fa bene all’anima ma ci aiuta comprendere e ad orientarci nella modernità senza subire il fascino dei suoi riti omologanti e delle sue manie.

Il linguaggio brillante e raffinato e la capacità di scavare nella parte più intima dei protagonisti delle sue storie fanno di Franzen uno dei migliori talenti narrativi in circolazione, e dei suoi libri – questo in particolare – una boccata d’ossigeno per quanti si sentono smarriti nel magma dilagante della sottocultura di massa. Quando Franzen sta per pubblicare Le Correzioni, nel 2001, l’America non è stata ancora scossa dall’attentato dell’11 settembre. Quanto quel tragico evento possa avergli fatto cambiare opinione sui valori della società contemporanea, spesso criticati e ridicolizzati con sarcasmo, è difficile stabilirlo. Resta il fatto che il romanzo offre al lettore uno straordinario spaccato familiare fatto di profonda umanità e spietato cinismo, nel quale ciascuno di noi può almeno in parte riconoscersi.  Un fronte freddo autunnale arrivava rabbioso dalla prateria. Qualcosa di terribile stava per accadere, lo si sentiva nell’aria. L’incipit è di quelli che non si dimenticano: Quel ramo del lago di Como…...

Le Correzioni è un romanzo intenso, appassionante, da leggere tutto d’un fiato. A tratti può risultare esageratamente complesso: in alcune sue parti la prosa si arricchisce di complicati tecnicismi e di prolisse divagazioni fuori tema ( l’influenza di Foster Wallace si sente), ma il ritmo incalzante della trama e l’eleganza dello stile non lo rendono mai noioso. Attraverso i paradigmi del finto moralismo, Franzen conduce il lettore ad una lunga riflessione sulla famiglia tradizionale e sulle ipocrisie dei nostri tempi. La qualità della scrittura è notevole, l’empatia tra l’autore e i personaggi del racconto, un miracolo di rara bellezza. A distanza di soli quindici anni dalla sua pubblicazione, Le Correzioni possiamo già considerarlo una pietra miliare della letteratura mondiale – tra i dieci romanzi più belli di questo secolo nella classifica di Panorama.

I protagonisti sono una coppia di anziani coniugi del Midwest,  Alfred ed Enid Lambert, logorati dai ricordi e dalle delusioni della loro vita matrimoniale, fatta di duro lavoro, di numerose rinunce e di frustrazioni taciute. L’uno in preda ai sintomi del Parkinson, l’altra desiderosa di radunare per un ultimo Natale i tre figli, educati secondo i buoni valori della borghesia americana, sempre attenti a correggere ogni deviazione dal giusto. Chip,  professore universitario che  ha perso il posto al college per avere intrattenuto una relazione sessuale con una sua allieva; Gary, dirigente di banca che non vuole ammettere di essere caduto vittima della depressione e di trascinarsi un matrimonio finito; Denise, chef di successo ma dalla vita sentimentale troppo turbolenta e trasgressiva per i canoni educativi dei suoi genitori. Ritrovarsi tutti a casa per l’ultimo Natale, come vorrebbe Enid, sembra impossibile fino a poche pagine dalla fine. Ma forse non tutto è perduto e chissà che in casa Lambert, dopo la tempesta, non ritorni il sereno.

(Angelo Cennamo)

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