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Io leggo (30)

Io leggo, rubrica di letteratura

La letteratura postmoderna di David Foster Wallace

La letteratura postmoderna di David Foster WallaceSono solo tre i romanzi che David Foster Wallace ci ha lasciato prima di congedarsi dalla vita nel 2008: La scopa del sistema, la coraggiosa rielaborazione della sua tesi di laurea in filosofia; Infinite Jest, il capolavoro, l’opera fluviale di oltre 1.200 pagine che lo ha consacrato come uno dei maggiori talenti della letteratura americana e mondiale della sua generazione o, se preferite,  “il principe della letteratura contemporanea americana” secondo la definizione di Details; Il re pallido il romanzo sulla noia al quale Wallace stava lavorando prima di morire, pubblicato postumo dal suo editor. Qualche anno prima, nel 2004, esce Oblio, una raccolta di otto romanzi brevi con i quali Wallace dimostra di avere una straordinaria ecletticità anche di stile.

Recensire un libro di Wallace è a dir poco complicato: si rischia cioè di non rendere bene il senso – talvolta perfino di non capire il vero significato – di quello che c’è scritto. Quella di Wallace è infatti una letteratura postmoderna e argomentativa che ha pochi precedenti, un “realismo isterico” indefinibile che scompagina ogni ricostruzione filologica. Quello che si può dire è che Wallace sa cogliere in profondità il marcio della società americana e sa raccontare il  malessere e la noia dei suoi protagonisti, quasi sempre segnati da traumi infantili. Il suo modo di scrivere è vertiginoso, schizofrenico, una sequela di virtuosismi che spaziano in una complessità non sempre alla portata del lettore. La narrazione frammentaria – tipica dello stile postmoderno - annulla la sequenza temporale; attraverso fitte descrizioni di immagini legate e slegate tra loro, Wallace conduce il lettore in un eterno presente dove non si distingue l’inizio dalla fine. Talvolta il finale viene astutamente anticipato nel corso della trama e chi legge deve saperlo cogliere tra le righe.

In Oblio ci colpisce l’originalità dei temi trattati e l’imprevedibilità delle storie. Solo un genio bizzarro come Wallace poteva, ad esempio, dedicare un romanzo ad una merendina da testare sul mercato Mister Squishy. O ad un marito che si sottopone a dei test clinici per scoprire se la moglie, quando lui russa, non può sentirlo russare perché sta dormendo Oblio. Il protagonista de Il canale del dolore è invece, pensate un po’, uno scultore di cacche umane. Sua moglie la donna mostruosamente obesa più sexy che Atwater abbia mai visto arriva a tradirlo goffamente tra i sedili di un’auto col giornalista che realizza lo scoop. Ma è in Caro vecchio neon che Wallace si supera con un superbo gesto narrativo che lascia di stucco il lettore. La trama e l’esposizione del romanzo mettono i brividi per la suggestiva sovrapposizione della fiction al tragico destino che attende l’autore della storia. Wallace, infatti, decide di comparire nel racconto come protagonista della trama, e l’io narrante, un uomo morto suicida, rivolgendosi al suo interlocutore gli dice: tu sai cosa c’è oltre la morte.  

(Angelo Cennamo)

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Jeffrey Eugenides, la trama del matrimonio

Recensione LA TRAMA DEL MATRIMONIONegli ultimi giorni di giugno del 2006, per le stradine di Capri si aggiravano tre giovani scrittori americani, ospiti di un noto festival letterario. Di quella indimenticata presenza sull’isola circola in rete una foto destinata a rimanere nella storia. I tre, apparentemente frastornati dal jet lag, sono posizionati l’uno di fianco all’altro, in tenuta casual, appoggiati alla ringhiera della piazzetta, confusi in mezzo agli altri turisti inconsapevoli. Jeffrey Eugenides, Jontahan Franzen e David Foster Wallace, quell’estate del 2006, erano a 40 minuti di aliscafo da casa mia e io neppure lo sapevo. Franzen, allora, aveva già pubblicato il suo capolavoro “Le correzioni” e si apprestava a scrivere il quarto romanzo “Libertà”. Eugenides era reduce dal grande successo di “Middlesex”, che nel 2003 gli era valso il premio Pulitzer per la narrativa. David Foster Wallace, dopo la fatica di “Infinity gest” – romanzo impressionante anche per numero di pagine: circa 1.300 – di lì a poco sarebbe ripiombato nel tunnel della depressione e morto suicida a soli 46 anni.

Non sappiamo quanto quella trasferta napoletana abbia ispirato Jeffrey Eugenides nella composizione de “La trama del matrimonio”, il romanzo pubblicato nel 2011 e arrivato finalista lo stesso anno al National Book Critics Circle Award. E’ facile supporre però che proprio quella vacanza trascorsa in sua compagnia abbia fatto venire all’autore l’idea di ricalcare la figura di uno dei protagonisti della storia “Leonard Bankhead” su quella dello sfortunato amico David. “La trama del matrimonio” è il nome del seminario che la studentessa di lettere, Madeleine Hanna, ha deciso di frequentare prima di dedicarsi alla tesi di laurea. Madeleine si è iscritta alla facoltà di Lettere per la più banale delle ragioni: perché ama leggere. I suoi autori preferiti sono: Jane Austen, George Eliot e Henry James. Le letture di Madeleine e dei suoi compagni di corso sono una parte essenziale del romanzo, una presenza quasi ingombrante, ossessiva. Al punto che a Eugenides verrebbe la voglia di dire: d’accordo, Jeffrey, sei un vero intellettuale, hai una biblioteca fornitissima. Ora però lasciaci leggere il tuo libro in santa pace. La trama del romanzo è il più classico dei triangoli: Mitchell  - giovane e goffo laureando in storia delle religioni - si innamora di Madeleine, la quale però si invaghisce del più affascinante Leonard, lo studente con la bandana che lotta di nascosto contro la depressione. Mitchell non si arrende, ma la grande occasione che gli capita per invertire il corso degli eventi la sciupa, forse per un eccesso di timidezza. Passano gli anni, Madeleine dovrà fare i conti con le turbe psichiche di Leonard e con i suoi continui ricoveri in ospedale. Ma lo ama e decide di sposarlo, anche contro il volere della famiglia. Mitchell nel frattempo è in giro per il mondo alla ricerca di una nuova dimensione spirituale. Il pensiero di Madeleine continua a tormentarlo. Non sa del matrimonio. Un giorno, per una strana coincidenza, i tre si ritroveranno. Con conseguenze imprevedibili. “Non esiste la felicità nell’amore tranne che alla fine di un romanzo inglese” diceva Trollope. “La trama del matrimonio” è un romanzo coinvolgente, di difficile lettura ma scritto con eleganza e competenza. Mancano il trasporto e le suggestioni di “Middelsex”, il libro che lo ha preceduto, ma scrivere due capolavori di fila è arduo anche per un fuoriclasse come Eugenides.

(Angelo Cennamo) 

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