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Costume e società (28)

Nella "Giornata Internazionale della Violenza Sulle Donne" in mostra le Barbie Tumefatte di Lady Be

Il 25 Novembre prossimo si terrà la Giornata Internazionale della Violenza Sulle Donne, istituita nel 1999 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Per l'occasione lo stesso giorno l'artista Lady Be commemora la ricorrenza a Milano, quartiere Brera, inaugurando la sua mostra personale con un titolo forte “Mai più violenza sulle donne”. La mostra sarà inaugurata alle ore 16,00 presso l’Ex Studio di Piero Manzoni, in via Fiori Chiari 16, Milano “Saranno in mostra le Barbie Tumefatte di Lady Be - anticipa il critico e curatore della mostra Dott. Francesco Saverio Russo - Barbies grasse, anoressiche, nane, bionde, more, scure, calve e transessuali, tutte con i segni della violenza sui loro volti e sui loro corpi come lividi, graffi, occhi neri.

La Barbie, simbolo della bellezza perfetta e incontaminata, diviene portatrice di un messaggio molto importante: la violenza va denunciata, nessuno può farti del male, il tuo corpo è solo tuo. Ogni donna può immedesimarsi nella Barbie perché è un simbolo associato alla donna da più di 50 anni, ci ricorda il gioco delle bambine ma anche il tanto aspirato ideale di bellezza femminile”. A parlarne anche la giornalista del Corriere della Sera Roberta Scorranese: “Un livido che fa ombra su un volto perfetto si vede prima. Così come una lesione è più evidente se provocata su un ovale simmetrico, con la pelle giovane e tesa. Ferire una bambola è come aggredire quella mitezza serafica – quasi deificante – che ogni bellezza porta in sé come un marchio di fabbrica e che sembra circonfondere i fortunati di bell’aspetto al pari di una corazza, una lontananza inscalfibile. Ecco perché ci colpisce Beaten Barbie, opera dell’artista Lady Be(…)”. La prima Barbie Tumefatta di Lady Be fu presentata a Verona al Palaexpo, il 9 Giugno 2016 in occasione della Triennale dell'Arte Contemporanea e lo stesso giorno nel veronese una donna fu uccisa dall’ex convivente. Molti giornali e cronache televisive parlarono dell’opera e del femminicidio. Questa tragica concomitanza dimostra come quotidianamente avvengano, ovunque e verso qualunque tipologia di donna, episodi di violenza. Per questo nessuna donna deve sentirsi esclusa da questo forte messaggio. Non succede solo alle donne 'comuni', alle madri di famiglie 'normali' e alle mogli di uomini qualsiasi: la violenza può colpire chiunque, indistintamente si annida tra le pareti di un ambiente domestico come tra quelle dello star system. Le testimonianze rese da alcuni volti noti ne è la prova. Lady Be, attraverso le sue “Barbies” vuole lanciare il messaggio che anche con l'arte si può invitare a far riflettere le persone su questo tema. Ed è proprio grazie alla sua particolare tecnica, che l'artista riesce a riprodurre questo particolare effetto e a ricostruire i volti dilaniati da ematomi e ferite, nonostante siano volti di “plastica”. La Barbie rimane un giocattolo, una comune bambola, viene umanizzata solo dai segni della violenza. Infatti, il “Mosaico Contemporaneo” di Lady Be è un mosaico costituito interamente da pezzetti di plastica, pezzi di Barbies, altri giocattoli e materiali di recupero di ogni genere, non ridipinti ma esclusivamente utilizzati nel loro colore originale. Come disse Vittorio Sgarbi, a Verona davanti alla Barbie Tumefatta “La denuncia sarebbe stata molto più facile con un’immagine fotografica, ma l’arte è forma, non è contenuto.

Il metodo dell’opera di Lady Be è intelligente. Le Barbie vengono scomposte, rotte e ricomposte costituendo poi una forma riconoscibile di ritratto in un’estetica già inaugurata da Schnabel”. Se il noto critico pose l’accento sulla peculiarità della tecnica di Lady Be, la giornalista Alessandra Vaccari, opinionista nella puntata di “Diretta Verona” del 9 Giugno 2016 sottolineò quanto questa speciale tecnica sia importante proprio per il messaggio stesso che trasmette: “L’artista prende spunto dal “rifiuto” per far un’opera d’arte; spesso gli omicidi nascono proprio dal rifiuto della donna di continuare una relazione” Molti considerano la donna una bambola da trattare come un giocattolo e da “buttar via” o maltrattare quando ci si è stufati di lei. Allo stesso modo, i materiali di “rifiuto” di Lady Be, trovano una nuova vita nell’opera d’arte. In occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, una rassegna toccante delle esperienze che hanno profondamente segnato l’esistenza di queste celebrities che da Madonna a Alanis Morrisette, passando per Rihanna e Nina Moric, dimostra quanto sia importante uscire dal silenzio e denunciare gli abusi perpetrati a danno del corpo e dell'anima delle donne. - Madonna: "Avevo 20 anni ed ero da sola a New York. Venni violentata sul tetto di un edificio in cui ero stata trascinata sotto la minaccia di un coltello alla schiena". - Alanis Morrisette: "Sono stata vittima di uno stupro quando ero adolescente. E adesso sto scrivendo un libro che racconti la storia della mia vita, mi aiuterà a liberarmi dai sensi di colpa". - Rihanna: "In quel momento, i suoi occhi erano senz’anima, non erano più gli stessi occhi della persona che diceva di amarmi. Mi chiedevo solo quando sarebbe finito tutto questo, cercavo solo di fermarlo". - Nina Morich: "Da ragazza sono stata violentata da mio padre. Negli anni ho avuto problemi di autolesionismo e anoressia perché pensavo che quel che era successo fosse colpa mia. È anche per questo motivo che sono scappata dalla Croazia a soli 16 anni". La mostra delle Barbie tumefatte di Lady Be si terrà presso l'ex studio del noto artista Piero Manzoni. Anche Pippa Bacca, nipote di Piero Manzoni, ha subito violenza, un evento molto tragico, prima costretta a subire violenza e dopo uccisa in Turchia, da un uomo che le aveva dato un passaggio. La mostra d'arte sarà inaugurata il giorno 25 novembre e sarà visitabile su appuntamento fino al 9 dicembre 2016.

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Operazione Blue Moon la diabolica strategia che diffuse l'eroina in Italia.

Con operazione Blue Moon si intende un'operazione sotto copertura messa in atto dai servizi segreti dei paesi del blocco occidentale all'inizio degli anni settanta, nell'ambito della Guerra Fredda, finalizzata a diffondere l'uso di droghe pesanti, in particolare l'eroina, tra i giovani attivisti dei movimenti giovanili di contestazione, in modo da renderli dipendenti e distoglierli dalla lotta politica. La strategia si attuò mediante una sapiente operazione di "lancio" del prodotto: dapprima vennero bruscamente tolte dal mercato clandestino tutte le altre droghe allora diffuse (in particolare marijuana, hashish e anfetamine), al contempo si iniziò una capillare diffusione di piccole dosi di eroina vendute a bassissimo prezzo, così da indurre i consumatori (in particolare giovani e giovanissimi, in buona parte appartenenti alla galassia di gruppi politici di sinistra extra-parlamentare nati nel post-sessantotto) a passare alla nuova sostanza, sfruttando anche la diffusa ignoranza sui gravissimi effetti collaterali in termini di dipendenza che essa comporta. Gli esiti sociali di questa operazione furono un aumento vertiginoso del numero dei tossicodipendenti e delle morti da overdose: il numero degli eroinomani passò da zero nel 1970 agli oltre 300.000 nel 1985.

I primi esperimenti negli Stati Uniti
Durante gli anni '60 cominciò a diffondersi nel movimento studentesco statunitense l'uso di stupefacenti come evento di gruppo: era soprattutto l'ideologia hippy ad essere particolarmente a favore dell'uso di droghe psichedeliche a scopo ricreativo e della sperimentazione continua di nuove sostanze. Questa mentalità diffusa era alimentata dal pensiero di alcuni intellettuali, come Timothy Leary, che incoraggiavano l'uso di queste sostanze come sfida alle convenzioni sociali per raggiungere un nuovo grado di conoscenza in campo artistico ed esistenziale. Tale inclinazione dei giovani figli dei fiori venne ben presto sfruttata dal governo americano per finalità di controllo e repressione. In base a documenti desecretati provenienti dagli archivi della CIA e dell'FBI, fin da prima del 1968 il Governo americano avevano infiltrato numerosi agenti sotto copertura all'interno dei movimenti studenteschi con il compito di introdurre l'uso di sostanze psicotrope tra i giovani attivisti; durante la convention hippy di Chicago del 1969 gli agenti infiltrati rappresentavano il 17% dei partecipanti: si raggiunse così un grado di controllo interno su questi gruppi talmente avanzato da poter cominciare una strategia di immissione massiccia di droghe. L'enorme diffusione di eroina nei ghetti neri fu tra le principali cause della sconfitta e della successiva dissoluzione dei movimenti rivoluzionari afroamericani come le Pantere Nere.

L'operazione Blue Moon in Italia
Il 20 marzo 1970 un'operazione antidroga condotta a Roma dai carabinieri porta alla scoperta di un barcone ormeggiato sul Tevere dove alcuni giovani dei movimenti si radunavano per fumare hashish e marijuana. Da questo momento inizierà una campagna di stampa sui giornali vicini alla destra tesa a stigmatizzare il rischio della diffusione delle droghe nelle strade e a identificare il contestatore (rappresentato icasticamente come "il capellone", secondo la moda allora in voga di portare i capelli lunghi) come consumatore e spacciatore di stupefacenti, un pericolo quindi per i giovani e la società tutta. Secondo alcuni leader del Movimento Studentesco come Luigi Cancrini e Mario Capanna, questo fu un deliberato tentativo di delegittimare il movimento del '68 e le sue istanze di rinnovamento, attuato attraverso il sovradimensionamento a fini allarmistici di un fenomeno come quello del consumo di droghe fino ad allora del tutto marginale. Il quadro storico-politico è quello della Strategia della tensione, con l'attentato di piazza Fontana meno di quattro mesi prima e il fallito "golpe Borghese" nel dicembre dello stesso anno: in questi anni si assiste a un costante aumento dei consensi del Partito Comunista Italiano e parallelamente a un acuirsi dei conflitti sociali e delle manifestazioni di piazza. Si inizia a pensare di attuare anche in Europa e in Italia una strategia di introduzione dall'alto di sostanze stupefacenti, su tutte l'eroina, nei gruppi giovanili, similmente a quanto fatto negli Stati Uniti.

L'operazione Blue Moon venne concepita per la prima volta nel 1972 durante un incontro segreto tra membri dei servizi segreti di vari paesi europei tenutosi in una località segreta sui monti Vosgi . Secondo Roberto Cavallaro, collaboratore del SID, presente all'incontro, al vertice parteciparono esponenti dei servizi sia dei paesi NATO che del Patto di Varsavia: l'argomento era quello di trovare metodi meno espliciti possibili per mettere a tacere i gruppi di opposizione ai governi in carica, attraverso operazioni di guerra psicologica. Di questa forma di guerra non ortodossa, per l'Europa occidentale, se ne occupò l'Aginter Press di Lisbona, organizzazione parallela dei servizi del patto atlantico che operava in funzione anticomunista. In Italia l'uomo di collegamento con la CIA per l'operazione Blue Moon era Ronald Stark: agente segreto, persona enigmatica, amico personale di Timothy Leary, molto vicino ai gruppi pacifisti americani, che riforniva di grandi quantità di LSD, e per questo usato molto spesso come infiltrato. Arrivato a Roma nel 1972, secondo il SISDE giunge ad avvicinare in carcere alcuni elementi delle Brigate Rosse, tra cui Renato Curcio e altri esponenti di gruppi della sinistra extra-parlamentare. Secondo il giudice Guido Salvini, titolare di molte inchieste relative alla strategia della tensione, Stark può essere considerato il principale realizzatore per l'Italia del piano Blue Moon. Contemporaneamente, negli stessi giorni, si assiste a una improvvisa intensificazione della repressione del traffico di hashish e marijuana nelle piazze di spaccio delle città italiane; viene inoltre approvata la legge Valsecchi, che mette al bando le anfetamine dalla lista dei farmaci ammessi, con trentaquattro anni di ritardo rispetto al resto d'Europa. Tra gli spacciatori comincia a circolare dapprima una grande quantità di morfina venduta a buon mercato, se non addirittura ceduta gratuitamente, che porta molti utilizzatori di anfetamina a passare a questa nuova sostanza. Tra il 1973 e il '74 anche la morfina comincia a scomparire e viene gradualmente soppiantata dall'eroina, anch'essa venduta inizialmente in buona qualità e a bassissimo prezzo. L'unico sequestro significativo di eroina in quegli anni sarà attuato nel 1975 dalla squadra mobile di Roma coordinata dal commissario Ennio Di Francesco, a cui tuttavia verrà avocata immediatamente l'indagine e sarà il giorno stesso allontanato dalla mobile.

Le conseguenze dell'operazione
Tra il 1975 e il 1980 l'eroina si fa sempre più diffusa e la tossicodipendenza inizierà a diventare un fenomeno endemico delle periferie urbane italiane ed europee che interesserà un'intera generazione. Sia i media che le istituzioni sembrano non comprendere il fenomeno crescente e diffondono messaggi confusi e contraddittori sugli effetti reali della sostanza; l'attenzione sembra essere ancora rivolta tutta contro la marijuana e le altre droghe leggere. La prima vittima da overdose avviene ad Udine nel 1974, nel '77 i consumatori sono già saliti a 20.000, fino a sfiorare alla metà degli anni ottanta i 300.000 tossicodipendenti. La situazione era aggravata dalla mancanza di un adeguato sistema di cura e prevenzione nelle strutture sanitarie e, sebbene una parte dei gruppi politici si rendesse conto del rischio che l'eroina comportava, la consapevolezza del rischio rimase per molti anni ancora gravemente insufficiente.

questo brano presente su wikipedia nel 2015 è stato cancellato nel 2016, recuperato grazie ad ARCHIVE

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Nasce “Fior di Cannabis”, il primo gelato al mondo alla Cannabis

Nasce “Fior di Cannabis”, il primo gelato al mondo alla CannabisDolce, delicato, fruttato, sano e…legale. È “Fior di Cannabis”, il primo gelato al mondo a base di fiori di cannabis che farà il suo esordio ufficiale sabato 2 aprile prossimo presso le gelaterie “Perlecò” ad Alassio e “U Magu” a Pietra Ligure, le 2 gelaterie che insieme hanno lavorato dallo scorso dicembre alla preparazione di un gelato che contenesse tutte le qualità benefiche dei fiori di canapa..
Guido e Mauro, i 2 gelatieri inventori del gelato alla cannabis, faranno assaggiare il gusto “crema” ma sono già pronte per essere gustate altre versioni tra cui il sorbetto (una vera e propria benedizione per i vegani) e la granita.
Guido e Mauro hanno inoltre in serbo una novità anche per tutti gli appassionati del gelato fatto in casa visto che hanno preparato anche il composto che presto permetterà a tutti, con una semplice gelatiera da casa, di preparare il “Fior di Cannabis” a casa propria.
La canapa negli ultimi tempi sta conoscendo giustamente una nuova vita visto che si tratta di un alimento eccezionale per tanti motivi a partire dalla qualità della sua proteina, composta da 22 aminoacidi fra cui tutti gli 8 aminoacidi essenziali, una caratteristica estremamente rara per i vegetali visto che gli aminoacidi rappresentano gli elementi dai quali il nostro organismo produce le proteine, e risultando per questo un alimento completo dal punto di vista proteico.
La canapa può essere utilizzata per decine e decine di pratici utilizzi, a partire dagli usi terapeutici con benefici comprovati per la cura di diverse malattie (per migliaia di anni è stata usata come pianta medicinale), passando per gli usi tessili ed industriali fino ad arrivare agli usi alimentari, con effetti benefici per la salute umana e senza effetti “stupefacenti” visto che stiamo parlando delle piante di Cannabis legali al 100% perché non contengono il THC, l’agente piscoattivo proibito.
Per tutti questi motivi le gelaterie “Perlecò” e “U Magu” sono fiere di presentare al mondo una leccornia così prelibata ed unica oltre che offrire un gelato molto buono e sano.
L’appuntamento, per tutti i “ghiottoni” di gelato, è per sabato 02 aprile presso le gelaterie “Perlecò” ad Alassio e “U Magu” a Pietra Ligure in provincia di Savona per partecipare ad una nuova esperienza gastronomica.

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Profughi: Univ. Sapienza di Roma, Emergency Architecture & Human Rights Denmark e Danish Academy insieme per nuove idee sull'accoglienza profughi

Profughi: Univ. Sapienza di Roma, Emergency Architecture & Human Rights Denmark e Danish Academy insieme per nuove idee sull'accoglienza profughiRoma, 1 febbraio 2016 – Studenti e docenti della Facoltà di Architettura dell’Università Sapienza di Roma e l’associazione danese Emergency Architecture & Human Rights stanno lavorando insieme alla ricerca di nuove idee e soluzioni per l’accoglienza dei profughi che sbarcano in Italia.

A tal fine dal 29 gennaio e fino al 5 febbraio prossimo presso la Facoltà di Architettura, Sapienza Università di Roma, si sta svolgendo un workshop internazionale di progettazione dal titolo:

“Architecture & Refugees”, Design solutions to reduce segregation, Improve welcome policies, Accommodate refugees in urban space.

Il workshop è organizzato da HousingLab del DiAP e dalla Facoltà di Architettura insieme a Emergency Architecture & Human Rights, Denmark, con la partecipazione di docenti della Royal Danish Academy of Copenhagen KADK, è rivolto agli studenti di architettura dal terzo anno di corso in poi ed è stato preceduto da un ciclo di interventi aperto a tutti gli interessati svolti presso le sedi di via Gramsci il 29 e il 30 gennaio scorsi.

Mentre Venerdì 5 febbraio prossimo, dalle 16,00 alle 19,00, ci sarà la premiazione finale e l’esposizione dei lavori.

Sono state individuate 5 aree di lavoro in diverse regioni italiane (Lampedusa e Pachino in Sicilia, Alghero in Sardegna, Manduria in Puglia, Roma nel Lazio) per poter studiare villaggi di primaaccoglienza; alloggi mobili per lavoratori stagionali; case e servizi per accoglienza temporanea.

Finalità dell’ iniziativa è quella di riflettere sul ruolo che l’architetto può assumere di fronte all’emergenza profughi in Europa, su come e quali soluzioni architettoniche possano ridurre il conflitto, favorire l’integrazione e l’accoglienza nelle nostre città.

Promotori e Responsabili didattici: Domizia Mandolesi (coordinamento) e Alessandra De Cesaris, HousingLab DiAP, Sapienza Università di Roma, Francesca Giofrè, PDTA Sapienza Università di Roma con Jorge Lobos e Eleonora Carrano, Emergency Architecture & Human Rights, Denmark

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Cetara - Giornate della Memoria

Cetara organizza, in occasione della Giornata della Memoria, la tre giorni di incontri e riflessioni “I Giorni della Memoriala memoria è il cuore dell’umanità”. Il programma prevede oggi 26 gennaio, alle ore 16, la deposizione di una corona presso la lapide in piazza San Francesco, che ricorda il martirio degli ebrei italiani. A seguire, presso la sala polifunzionale “M. Benincasa”, la proiezione di un film a tema.  Mercoledì 27 gennaio, “Giornata della Memoria”, riflessioni sul tema nelle classi delle scuole di Cetara. Giovedì 28 gennaio, presso la sala polifunzionale “M. Benincasa”, alle ore 11, incontro sul tema “I Sommersi e i Salvati”, con il giornalista Nico Pirozzi, la testimonianza di Valeria Di Capua (rifugiata di guerra e testimone della retata degli ebrei di Roma del 16 ottobre 1943) e di Aldo Pavia, vicepresidente Aned (Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti) e l’intervento d Ludy Dadish, sul libro “Auschwitz spiegato a mia figlia”, di Annette Wieviorka e F. Sessi. All’incontro prenderà parte anche Angela De Vivo Benincasa che conobbe, a Cetara, Settimia Spizzichino, una deportata, nata nel ghetto ebraico di Roma, sopravvissuta ai lager nazisti alla quale il comune ha già dedicato una lapide in piazza Cantone per ricordarne l’esempio e la sofferenza. All’incontro prenderà parte anche Angela De Vivo Benincasa che conobbe, a Cetara, Settimia Spizzichino, una deportata, nata nel ghetto ebraico di Roma, sopravvissuta ai lager nazisti alla quale il comune ha già dedicato una lapide in piazza Cantone per ricordarne l’esempio e la sofferenza. Pirozzi è ideatore e coordinatore del progetto “Memoriæ”, iniziativa promossa dalla Fondazione Valenzi e dalla onlus ALI, nata nel 2010 per recuperare e valorizzare la “memoria” della città di Napoli, nel giorno stesso in cui l’Italia ricorda la tragedia della Shoah. "E' il nono anno che la nostra amministrazione organizza un evento per ricordare il martirio degli ebrei italiani, un contributo sentito affinché queste tragedie non si verifichino mai più" ha dichiarato il sindaco di Cetara, Secondo Squizzato. "E' importante che i giovani si confrontino con la storia e con i suoi drammi per una riflessione quanto mai attuale sui temi della tolleranza e dell'integrazione" ha concluso l'assessore alla cultura, Angela Speranza.

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Povertà e la disoccupazione alimentano il terrorismo?

Rischio attentati Roma Giubileo 2015Gli attentati di Parigi, di San Bernardino in California, e prima ancora sull’aereo russo partito dal Sinai, fanno ripiombare l’Europa e l’Occidente tutto nel terrore del post 11 settembre. Alla difficile situazione creatasi tra la Siria e l’Iraq, dove perfino le alleanze intorno al ruolo del dittatore Assad risultano indecifrabili e per certi versi ostative ad un migliore coordinamento dell’offensiva dei contingenti internazionali contro lo Stato islamico, si aggiungono le analisi e le interpretazione caotiche che certi intellettuali europei ci propinano in forum, tavole rotonde e telegiornali, volte a spiegare sul piano squisitamente economico l’efferatezza del terrorismo. In Francia soprattutto, ovvero nella stessa nazione del Bataclan e di Charlie Hebdo, si è venuto a creare un fronte letterario-filosofico che nega qualunque implicazione o matrice religiosa alle stragi delle ultime settimane. Ma lo schieramento di questi filoislamici liberal è molto più ampio e comprende addirittura il Papa e Barack Hussain Obama.

Bergoglio nella sua recente visita in Kenia ha detto che la povertà e la disoccupazione alimentano il terrorismo. Rischio che evidentemente non corrono i ragazzi emarginati delle periferie di Scampia e di Secondigliano: non mi pare, infatti, che in occasione della visita a Napoli il Santo Padre abbia fatto riferimenti ai kamikaze né alla guerra santa. Dall’altra parte del mondo, il presidente degli Stati Uniti, pur di escludere motivazioni di tipo religioso alla strage di San Bernardino, si è invece scagliato contro le lobby delle armi, dimenticando che i terroristi sono capaci di far saltare un ponte o un grattacielo semplicemente con una lattina di birra. Insomma, la parola d’ordine è negare che l’Islam c’entri qualcosa con gli attentati.

Negare il Jihad, la guerra santa islamica con la quale i fanatici del califfato vogliono sottomettere l’Occidente giudaico-cristiano e laico. E se questi dannati prima di farsi saltare in aria o di colpire le folle gridano Allah è grande, poco importa: non si tratta di veri islamici, o almeno non sono dei musulmani moderati. Eppure  tutti i terroristi, fino al giorno prima di compiere gli attentati, erano considerati perfino dai loro familiari dei ragazzi perfettamente integrati. Niente da fare: questi sociologi improvvisati, orfani di  Marx e del maggio francese, ti spiegano che a spingere certa gioventù alla violenza non è l’Islam ma il capitalismo, l’America. Ecco di chi è la colpa: dell’Occidente imperialista e del denaro. Sempre la stessa solfa.

(Angelo Cennamo)   

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PARIGI VALE BENE UNA GUERRA

Attentato a Parigi FranciaQuesta volta non basteranno slogan del tipo #JeSuisParis da rilanciare sui social, o altri gestri più o meno convinti di solidarietà, come accendere una candelina sul davanzale della finestra o marciare in silenzio nel centro della città. Non ci incanteranno più i soliti buonisti politicamente corretti, quelli che si premurano di farci sapere che tra islam integralista e islam moderato esiste eccome una differenza – tutti i terroristi, prima di diventare terroristi, sono musulmani moderati. E che si indignano se qualche loro collega giornalista scrive “terrorismo islamico” attribuendo una ingenerosa matrice religiosa a quella barbarie. Non servirà neppure spegnere la torre Eiffel o altri monumenti per stringerci simbolicamente al lutto dei familiari delle 129 vittime della scorsa notte.

Siamo in guerra, e sarà bene farsene una ragione.  Di fronte ad una guerra le decisioni da prendere sono solo due: combattere o disertare. Disertare vuol dire rinunciare a difendere la nostra storia, la nostra identità, i nostri valori e le nostre conquiste, a cominciare dalla più importante di tutte: la laicità. Ovvero la capacità ed il buon senso di separare la religione dalla politica, il credo ( qualunque esso sia) dalla condotta civica. Laicità vuol dire anche tolleranza . Ma un eccesso di tolleranza può far degenerare la tolleranza in sudditanza. E’ quello che è accaduto. Per troppi anni, infatti, la Francia – e non solo la Francia – si è piegata  ai diktat delle culture altrui in nome di una falsa rappresentazione della laicità.

Rimuovere i crocifissi dalle aule scolastiche, vietare determinare alimenti nelle mense pubbliche o, come di recente è avvenuto in Italia, impedire ad una scolaresca di visitare una mostra di arte sacra per non urtare la sensibilità dei musulmani, è un incoraggiamento per chi medita di uscire dalla moderazione e seminare il terrore. Circa un anno fa, un noto scrittore francese, Michel Houllebecq, pubblicò un romanzo dal titolo “Sottomissione”, nel quale si prefigurava una Francia governata da un presidente musulmano e completamente islamizzata, nelle leggi e nei costumi. Non l’avesse mai fatto! Apriti cielo! Tutto il mondo accademico parigino insorse contro quel libro blasfemo che fomentava odio e razzismo. La scomunica degli intellettuali “laici” e “voltairiani” di Francia costrinse Hoellebecq ad evitare incontri pubblici e a ritrattare le interpretazioni più spigolose del romanzo. Ecco cosa vuol dire disertare.

(Angelo Cennamo)    

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Ricordare Pier Paolo Pasolini

Ricordare Pier Paolo PasoliniLa notte tra l’uno e il due novembre del 1975, all’idroscalo di Ostia, veniva ucciso, in circostanze tuttora poco chiare, Pier Paolo Pasolini. Di quel giorno conservo un vago ricordo  fatto di immagini frammentate, in bianco e nero. Le prime che i telegiornali della rai, gli unici del tempo, mandarono in onda non appena si diffuse la notizia. Il fango, le pozzanghere, le baracche di quel luogo così povero e desolato rendevano bene l’idea dello squallore e della tragicità dell’evento annunciato. Ma anche il contesto dove Pasolini aveva ambientato tutta la sua parabola di uomo e di narratore: la periferia. Avevo 7 anni e di quell’uomo dal volto scavato e dai grossi occhiali scuri, ucciso così barbaramente, non ne sapevo nulla. Sicché scoprii la sua esistenza – l’esistenza del poeta Pasolini – proprio mentre il telegiornale dava l’annuncio della sua morte.

A distanza di 40 anni da quella tragica notte, l’Italia piegata dal malaffare e dalla corruzione, l’Italia precipitata nel peggiore degrado culturale e politico che abbia mai conosciuto, riesce sorprendentemente a trovare un guizzo, un sussulto di dignità e di orgoglio per ricordare la sua figura ( e non quella di Calvino, del quale pure ricorre il trentennale dalla morte) e per riaffermare il senso e il valore della sua opera a beneficio delle nuove generazioni. Rileggevo le prime pagine di “Ragazzi di vita”, uscito in questi giorni in allegato con il Corriere della sera, e riflettevo su quanto la vicende personali di Pasolini: l’omosessualità, i vizi e i processi collegati in parte anche a quel vissuto così scandaloso e trasgressivo, abbiano finito per sovrastare la bellezza e l’unicità della sua produzione letteraria e cinematografica, relegandola ad una ingenerosa collocazione di nicchia. Non mi sorprende che sia potuto accadere in un Paese bigotto, ipocrita e provinciale come il nostro. Dove perfino la cultura diventa motivo di scontro politico o, se preferite, tifo da stadio, tra destra e sinistra. Figurarsi poi negli anni settanta. Ma perché dopo tutto questo tempo dovremmo ricordare Pier Paolo Pasolini? E qual è il valore dell’eredità che ci ha lasciato? Una risposta a questa domanda possiamo trovarla negli “Scritti corsari”, la raccolta degli editoriali che lo scrittore eretico pubblicò proprio sul Corriere di Piero Ottone. A cominciare dal più noto “Io so”. E’ l’eterna attualità delle sue opere la ragione per la quale ci piace ricordare Pasolini. L’immutata freschezza delle analisi sociologiche, oltre la profondità, la poesia e la modernità dei suoi romanzi e dei suoi film. Oggi, a distanza di quarant’anni dalla morte, Pasolini ci manca moltissimo. Ci manca la ferocia e il coraggio delle sue invettive. Ci manca l’anticonformismo con il quale combatteva l’omologazione e l’appiattimento della cultura di massa. La stessa che per quarant’anni lo ha collocato ed archiviato nel reparto imperioso degli intellettuali di sinistra. Lui che negli scontri di Valle Giulia difese i poliziotti figli di contadini contro gli studenti “proletari” figli di papà. E che storceva il naso di fronte a capelloni e cantanti beat.

Non ha fatto in tempo, Pasolini, a completare la sua mutazione genetica da integralista di sinistra ad eretico reazionario, nel solco di un’altra grande scrittrice e giornalista del suo tempo: Oriana Fallaci. Resta però il ricordo e la traccia indelebile di un’artista intorno al quale questo Paese così sgangherato, alla disperata ricerca di simboli e di modelli positivi, fa bene a stringersi per ritrovare un’identità forte, consapevole,  e per salvarsi da un imbarbarimento che sembra non avere fine.

(Angelo Cennamo)      

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ALL’AVVOCATO FRANCESCO MIRAGLIA VA IL RICONOSCIMENTO “LIFE GATES 2015” PER IL SUO IMPEGNO IN DIFESA DEI MINORI E DEL DIRITTO ALLA VITA

ALL’AVVOCATO FRANCESCO MIRAGLIA VA IL RICONOSCIMENTO “LIFE GATES 2015” PER IL SUO IMPEGNO IN DIFESA DEI MINORI E DEL DIRITTO ALLA VITAUna vita dedicata alla difesa dei bambini, in particolar modo al loro diritto a essere felici anche quando, per ragioni diverse, sono costretti a stare lontano dai loro genitori.

Un impegno, quello dell’avvocato modenese Francesco Miraglia, esperto in diritto minorile, che in questi anni, lo ha portato a lavorare attivamente contro i maltrattamenti e gli abusi sui minori, denunciando e riuscendo a far chiudere case famiglia che lavoravano senza permessi o dentro le cui mura avvenivano fatti raccapriccianti.

Un’attività che lo ha visto protagonista di numerosi fatti di cronaca anche nazionale, come il caso della famiglia Camparini, raccontata nel libro  Papà portami via da qui, edito da Armando editori  e il cui operato è stato seguito attentamente anche dall’associazione culturale no profit admArte di Roma che ha deciso di conferirgli il prestigioso riconoscimento LIFE WITNESS. La premiazione avverrà in occasione della IIa edizione dell’iniziativa “LIFE GATES - celebrare la Vita quale valore assoluto”, che si svolgerà nella città eterna il prossimo 19 settembre a partire dalle ore 17, presso il Complesso Monumentale San Salvatore in Lauro del Pio Sodalizio dei Piceni, in piazza San Salvatore in Lauro n.15.

L’associazione, che promuove temi importanti quali la vita, la pace, la fratellanza, la solidarietà tramite l'arte e che annovera tra i suoi membri personalità di spicco nel campo della medicina e della politica, ha voluto quindi premiare l’avvocato Miraglia tra quelle “personalità di rilievo che si sono distinte per i loro meriti, attività svolte, iniziative culturali ed impegni sociali nei diversi ambiti”.

Un premio che, lo scorso anno, è stato assegnato alla scrittrice e poetessa ungherese Edith Bruck, all’attrice e ambasciatrice Unicef "Good Will Ambassador" Daniela Poggi, all’astronauta e astrofisico Umberto Guidoni, alla presidente dell’associazione "Salvamamme" Grazia Passeri, al presidente de "La piccola famiglia onlus" Saverio Severini, al tenente colonello, medico ortopedico e traumatologo del Policlinico Militare di Roma Celio Vincenzo Piccinni, a Suor Paola, presidente So.spe, al primario di Psichiatria dell’Università Cattolica Santo Rullo, al Presidente del “Progetto Gemma” Gianni Vezzani e infine allo sportivo Vincenzo Cantatore.

Sicuramente - sottolinea l’avvocato Miraglia - fa sempre piacere ricevere un riconoscimento di questo tipo, visto l’impegno costante che dedico a questa mia attività. Credo comunque che esso serva a ribadire quanto lavoro ci sia ancora da fare non solo da parte di noi avvocati ma anche e soprattutto dalle istituzioni preposte, dai medici, dai docenti e da tutte quelle professionalità che quotidianamente operano con i bambini e che hanno il compito morale e pratico di salvaguardare la loro integrità psichica e fisica affinché diventino, un domani, delle donne e degli uomini sani”.

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Profughi e migranti: uno studio classico per avere risposte illuminanti sul presente

In questi giorni assistiamo inermi a fenomeni nei quali sono coinvolte masse enormi di persone. In particolar modo veniamo colpiti dai flussi migratori e dalle dimensioni gigantesche di questo movimento. Il comportamento delle masse, al di là degli aspetti umanitari e sociali, va sempre compreso e analizzato con il fine di trovare soluzioni efficaci alle sofferenze dell'uomo.

Ed i classici spesso si rivelano di grande aiuto per capire la nostra realtà, come “La psicologia delle folle”, di Gustave Le Bon, ad esempio che si rivela un classico al servizio del presente. Il testo di Gustave Le Bon, ora disponibile in ebook, è un classico nel suo genere: un testo rivoluzionario ma di sicuro riferimento per moltissimi studi che hanno affrontato lo studio delle masse.

Gustave Le Bon fu il primo a studiare scientificamente il comportamento delle folle, un fenomeno non più sottovalutabile dopo gli sviluppi dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione. In questo studio ha identificato i caratteri peculiari del fenomeno “folle” e ha proposto tecniche volte a guidarle e controllarle.

Applicando un paradigma di studio scientifico derivato dall’approccio clinico, Le Bon utilizza i concetti di contagio e suggestione per spiegare i meccanismi della folla che portano all’emergere dell’emotività dall’istintualità e dall’inconscio, altrimenti repressi negli individui dal controllo sociale.

Le Bon dipinge le folle come una forza di distruzione, priva di una visione d’insieme, indisciplinata e portatrice di decadenza, esaltando invece le minoranze come forza capace di creare. La sua analisi, lucida e puntuale, lo porta a criticare la tendenza conservatrice delle folle, che spesso diventano manipolabili da elementi esterni e dal prestigio di singoli individui all’interno di esse.

Sicuramente un testo di indubbia attualità, da riscoprire e da leggere per comprendere meglio un fenomeno che ci tocca così da vicino.

L'ebook è in vendita su tutti gli store online: Amazon, Apple, Kobo e tanti altri

Per ricevere informazioni sul libro si può scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. o si può visitare il sito dell'editore www.kkienpublishing.it.

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