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Città in fiamme di Garth Risk Hallberg una finestra aperta sulla New York degli anni ’70.

Garth-Risk-Hallberg. Tenete a mente questo nome. Garth è un giovanotto americano di 36 anni, originario della Louisiana. Alto, fisico asciutto e volto da 110 e lode ad Harvard. Un bel giorno la casa editrice Konpf gli offre un anticipo di due milioni di dollari per scrivere il suo primo romanzo. Dopo sette anni di lavoro Garth consegna il manoscritto di City on fire, un librone di mille pagine che negli Stati Uniti diventa un vero e proprio caso letterario. Sentite cosa scrive di lui la temuta Michico Kakutani dalle colonne del NewYork Times: “Hallberg ha solo 36 anni, eppure è riuscito a scrivere un romanzo dall’ambizione travolgente che lascia con il cuore in gola”. Niente male da chi qualche anno prima aveva definito il Franzen de Le Correzioni  odioso, petulante e orribilmente egocentrico. Ma di cosa parla questo romanzo così discusso, osannato dalla critica di mezzo mondo e strapagato a scatola chiusa da un editore evidentemente con molto fiuto per gli affari e per i giovani talenti. Città in fiamme – nella versione italiana – è una finestra aperta sulla New York degli anni ’70. Una notte di capodanno a Central Park sparano a una ragazza non ancora maggiorenne di origini italiane. E’ l’evento intorno al quale ruotano più storie sullo sfondo di una metropoli sopraffatta dal degrado urbano, dalla corruzione e dalla droga. La relazione omosessuale tra l’aspirante scrittore Mercer e il musicista punk William, lo scapestrato rampollo di una ricca famiglia newyorkese; il matrimonio in crisi di Keith e Regan, la sorella di William costretta a difendere le sorti della Hamilton-Sweeney Company dalle mire espansionistiche di Amory Gould “Fratello Diabolico”; e il cupio dissolvi dei Post-Umanisti, la band punk-anarchica di Nicky Chaos pagata per seminare terrore e distruzione. Questo e molto altro al centro di un racconto corale, ben strutturato, scritto da un esordiente con la classe e lo stile di un veterano, intervallato da appunti dattiloscritti, immagini e scarabocchi vari, nel solco della tradizione postmodernista. Città in fiamme è quello che si dice il grande romanzo americano, come Pastorale Americana di Philip Roth, Underworld di Don Delillo, Infinite Jest di David Foster Wallace, Le Correzionidi Jonathan Franzen. E’ un romanzo moderno ma non postmoderno, sulla falsariga del genere dickensiano, termine abusato con il quale si è soliti più che altro escludere determinati libri da certe dinamiche narrative piuttosto che identificarli o catalogarli alla maniera di Charles Dickens. Chiedersi se Hallberg somigli più a Chabon, a Franzen, a Wallace o a nessuno dei tre, è un un’operazione nella quale è inutile addentrarsi. Hallberg somiglia solo ad Hallberg, e sarà questa la sua fortuna -

Angelo Cennamo

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  • Pubblicato in Io leggo

Addio alle armi romanzo sulla diserzione e struggente storia d'amore.

Pare che un giorno Cesare Pavese abbia fatto leggere un libro ad una sua ex allieva di liceo perché comprendesse la differenza tra la letteratura americana e quella inglese. Il libro era Addio alle armi di Ernest Hemingway, l’allieva Fernanda Pivano. Di lì a poco la Pivano sarebbe diventata la traduttrice in italiano dei romanzi di Hemingway oltre che uno dei maggiori esperti di narrativa nord-americana.

A molti di voi sarà capitato di seguire il percorso di Fernanda Pivano, cioè di interessarvi, di approcciare la letteratura americana e di  innamorarvene, passando attraverso le opere del grande maestro di Oak Park - Illinois. Almeno per me è stato così. Il vecchio e il mare e I 49 racconti per cominciare, Fiesta, Per chi suona la campana a seguire. Il libro di cui però voglio parlarvi è lo stesso che Pavese regalò quel giorno alla sua giovane allieva. Pubblicato negli Stati Uniti nel marzo del 1929, in Italia Addio alle armi venne oscurato dal regime fascista perché metteva in cattiva luce l’esercito italiano minando uno dei valori più propagandati dalla dittatura mussoliniana: l’ardimento e la fedeltà alla patria. La storia raccontata da Hemingway infatti  culmina con la disfatta di Caporetto, che nella versione romanzata è molto diversa da quella tra virgolette edulcorata e opacizzata dei manuali scolastici. E’ sicuramente una delle pagine più drammatiche della storia italiana del primo novecento e nella trama del romanzo l’orrore, la paura e – perché no - la codardia di chi fuggiva dal fronte ci vengono descritti dalla penna di Hemingway con grande intensità e con squallido realismo. Ma  Addio alle armi non è soltanto un romanzo sulla diserzione: è soprattutto una struggente storia d’amore tra un tenente americano ferito dallo scoppio di una granata e un’infermiera inglese. L’amore e la guerra, nello sviluppo della trama, si intrecciano in modo inestricabile dando vita ad un vortice di sentimenti e di passioni che ha pochi precedenti nella letteratura mondiale. Il racconto è avvincente, ma dentro la fiction scorre lo straordinario reportage di un giornalista che vive sulla propria pelle un pezzo importante della storia d’Italia. L’opera è sincera e non indulge alla retorica dell’eroismo o alla banale idealizzazione patriottica. Distinguere l’Hemingway romanziere dal cronista o dal soldato al fronte non si può: verità e finzione si mescolano in un crogiolo di visioni e di suggestioni uniche. Ne viene fuori una narrazione vivida, di rara bellezza, sciorinata con stile sobrio, apparentemente disadorno: Hemingway descrive luoghi e personaggi senza usare una sola parola superflua, ma non omette nulla di quanto serva al lettore per sentirsi al centro della scena, avviluppato dall’atmosfera feroce e violenta delle battaglie e da quella erotico-sentimentale degli incontri furtivi tra il giovane Henry e miss Barkley. Un continuo perdersi per poi ritrovarsi in una grande avventura attraverso montagne, città, ospedali, laghi e strade sconosciute. Una corsa infinita e disperata verso la libertà.

Angelo Cennamo 

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Brevi interviste con uomini schifosi, l’inquietante galleria di personaggi depravati e odiosi raccolti da David Foster Wallace

Brevi interviste con uomini schifosi, l’inquietante galleria di personaggi depravati e odiosi raccolti da David Foster WallaceUn bambino in piscina fissa il trampolino altissimo dall’altra parte della vasca. Vorrebbe salirci per tuffarsi, ma è trattenuto dalla paura. Decide di andare. La lenta salita verso la vetta è un racconto di straordinaria bellezza fatto di dettagli minuziosi e di sensazioni palpitanti. Un microcosmo di percezioni ovattate e di colori intensi vissuti in una giornata che profuma di pubertà. La scaletta di metallo vibra sotto i piedi umidi dei bagnanti in ascesa. I colori dei costumi e degli ombrelloni visti dall’alto sono rischiarati dalla luce intensa del sole. I corpi abbronzati, sdraiati ai bordi della vasca, si addormentano nel tepore del primo pomeriggio. L’odore del cloro si incanala nelle narici del lettore. Le gocce d’acqua sulla lingua di plastica bianca che oscilla su in cima, l’involontario refrigerio per chi è ormai lontano dal rettangolino azzurro. Finalmente tocca a lui. Il tempo si ferma, tutto rallenta: i pensieri, la spinta del vento e le voci di chi, alle sue spalle, attende impaziente di lanciarsi nel vuoto.

Per sempre lassù è uno dei racconti che compongono Brevi interviste con uomini schifosi l’inquietante galleria di personaggi depravati e odiosi raccolti da David Foster Wallace in un libro che ha come tema dominante la misoginia. Siamo nel 1999 e Wallace ha all’attivo il suo romanzo d’esordio La scopa del sistema - la vertiginosa rielaborazione della tesi di laurea in filosofia che alla fine degli ‘80 spiazzò la critica letteraria per il suo realismo isterico - e La ragazza dai capelli strani, la raccolta di novelle che lo consacrò come astro nascente della letteratura americana.

Brevi interviste  è un virtuoso ed originale esercizio di stile, un saggio di talento narrativo di fronte al quale qualunque scrittore farebbe bene ad interrogarsi sulle proprie reali capacità di intrattenimento. Dal figlio depresso e umiliato dai genitori divorziati che litigano per le spese odontoiatriche, al focomelico che sfrutta il suo braccio da lattante per commuovere e portarsi a letto le ragazze, la carrellata comica e graffiante degli strani tipi di Wallace mette i brividi per la potenza lacerante della scrittura e l’intensità delle sue trame, così assurde e crudeli. Brevi interviste con uomini schifosi è uno squarcio profondo nella tela di un’umanità indegna e perduta che esibisce senza pudore le perversioni più inconfessabili. Un libro unico ed irripetibile che è già diventato un cult nella narrativa moderna e che ha ispirato un’intera generazione di autori americani. Alta classe e genio inarrivabile David-Foster-Wallace.

(Angelo Cennamo)        

 

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