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LEVIATANO – Paul Auster

“Sei giorni fa un uomo si è fatto saltare in aria sul ciglio di una strada del Wisconsin del nord. Non ci sono testimoni, ma pare che fosse seduto sull’erba accanto alla macchina intento a costruire una bomba, quando questa gli è esplosa ‎fra le mani per sbaglio. Secondo i referti dei medici legali che sono stati appena diramati, l’uomo è morto sul colpo”.

L’incipit di Leviatano – romanzo di Paul Auster uscito nel 1992 e pubblicato in Italia dalla Einaudi  –  è di quelli che non si dimenticano. Un pugno nello stomaco che lascia il lettore senza fiato, attonito e incollato al libro nell’attesa di capirci di più. La vittima dell’esplosione è Benjamin Sachs: uno scrittore di successo, dal vissuto turbolento e avventuroso. Il primo a scoprire la sua identità è l’amico e collega Peter Aaron, il quale, dopo aver appreso la tragica notizia, decide di ricostruire, passo dopo passo, gli ultimi anni di quella vita sbandata, convulsa e misteriosa, che lui solo conosce. Ben e Peter sono legati da una lunga amicizia nata per caso in un gelido inverno dentro un bar di New York. La scena del loro primo incontro è un gioiello di tecnica narrativa, forse la parte più interessante dell’intero romanzo. In quel tempo lui e Ben sono due giovani scrittori spiantati in cerca di gloria, due sognatori come ne incontriamo tanti nella letteratura americana, dall’Arturo Bandini di Fante al “disperato, erotico, stomp”  Bukowski. Storie parallele che mano mano finiscono per intrecciarsi pericolosamente oltre il dovuto, oltre la soglia dell’adulterio della moglie di Ben, e oltre il naturale rifiuto della crudeltà. Il rapporto che lega Ben a Peter sembra impossibile da scalfire, nonostante tutto.

Leviatano è il titolo che Sachs ha scelto per il romanzo che ha iniziato a scrivere in una baracca del Vermont, lontano dal mondo, dal suo mondo, dopo una brutta convalescenza che lo ha trasformato, cambiato dentro, al punto da spingerlo a rimettere in discussione gli affetti più cari e le proprie ambizioni di scrittore. Il libro finirà per scriverlo Peter, l’unico depositario di una verità difficile da spiegare e forse poco credibile.

Leviatano è un libro ambizioso e intrigante –  ahimè con poca ironia – che affronta i temi del tradimento e del fallimento. Ma è soprattutto una carambola di eventi – incontri, incidenti, romanzi scritti e romanzi mai finiti – del tutto imprevedibili, governati unicamente dal caso. La vita di ciascuno è in totale balia del caso, scrive Paul Auster sulla copertina. E’ la cifra, questa, di tutta la sua produzione letteraria e questo libro non fa eccezione. L’impressione però è che questa volta Auster abbia voluto esagerare: la lunga sequenza di eventi fortunosi che sovrasta la storia di Benjamin, la ricerca affannosa, quasi maniacale, della “strana combinazione” che deve per forza legare ogni step della trama, finisce infatti per ostacolare quel naturale processo di compenetrazione tra lettore e personaggio che rende la narrazione più intrigante, e per allontanare la storia da una realtà possibile e ripetibile. L’eccesso di zelo, o forse l’azzardo, che separa un buon romanzo dal capolavoro.

Angelo Cennamo

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Il Teatro di Sabbath è tra i quattro migliori libri di Philip Roth, con Pastorale Americana, Il Lamento di Portnoy e La Macchia Umana.

Philip Roth è il più grande scrittore vivente. Lo è per quello che scrive e per come lo scrive. Per la tecnica con la quale imbastisce le trame dei suoi romanzi. Per l’arguzia, il sarcasmo che adopera quando affronta i temi più scabrosi o dissacra i valori profondi della società americana. Per il cinismo che lo trattiene fuori dal racconto anche quando simula e dissimula se stesso nei ruoli che cuce per i protagonisti delle sue storie. Con il Teatro di Sabbath – romanzo del 1995 – Roth si consacra anche tra i più grandi scrittori di sesso.

Il sessantaquattrenne Mickey Sabbath è un ex burattinaio tormentato dai fantasmi del proprio passato: il fratello giovane morto in guerra, sua madre, la prima moglie fuggita chissà dove,  e l’amata Drenka, l’adultera con la quale ha sfogato per tredici anni tutta la sua depravazione sessuale “Con Drenka era come lanciare un sasso in uno stagno. Entravi, e le ondine si dispiegavano sinuose dal centro verso l’esterno finché l’intero stagno si ondulava e tremolava di luce”. Mickey Sabbath è un personaggio grottesco che sembra uscito dalla commedia dell’arte “un bugiardo totale, una canaglia, subdolo e disgustoso che si fa mantenere dalla moglie e va a letto con le bambine”. Un uomo senza scrupoli che conduce un’esistenza insensatamente fuori da ogni convenzione, senza scopo e senza armonia. Ma Mickey ne è consapevole e prova a farsene una ragione: “ho fallito perché non mi sono spinto abbastanza oltre! Ho fallito perché non sono andato fino in fondo.” In uno dei passaggi più straordinari del romanzo, l’amico Norman, che nella vita ha avuto più fortuna e successo di lui, scopre che Sabbath ha tentato di sedurre sua moglie e che nelle tasche dei pantaloni ha nascosto una mutandina di sua figlia. Lui, colto in flagrante, gli risponde così: “So che ti stupirò, Norman, ma oltre a tutte le altre cose che non ho, non ho neppure una teoria. Tu trabocchi di amabile comprensione progressista ma io scorro veloce lungo i marciapiedi della vita, sono un mucchio di macerie, e non possiedo nulla che possa interferire con una interpretazione obiettiva della merda.” E un vecchio disperato, Mickey. E solo l’autore del romanzo sembra provare per i suoi fallimenti una certa compassione:  “Caro lettore, non giudicare troppo duramente Sabbath: molte transazioni farsesche, illogiche e incomprensibili, sono classificabili grazie alle manie della lussuria.” Dopo una sequela di tragicomici disastri, nelle ultime pagine del libro, le più esilaranti, il protagonista, sull’orlo della follia, cerca in tutti modi di farla finita. Nel cimitero dove riposano i suoi familiari prova goffamente ad organizzare la propria sepoltura immaginando il giusto epitaffio: “Morris “Mickey” Sabbath, Amato Puttaniere, Seduttore, Sfruttatore di donne, Distruttore della morale, Corruttore della gioventù, Uxoricida, Suicida 1929 – 1994.” Ma è un altro fallimento, l’ennesimo. Il Teatro di Sabbath è tra i quattro migliori libri di Roth, con Pastorale Americana, Il Lamento di Portnoy e La Macchia Umana. Un romanzo superbo, impressionante per la qualità della scrittura e l’intensità della trama. Un concentrato di sentimenti forti e laceranti: l’amaro disincanto, la lussuria, la solitudine, e la comicità si fondono in una sublime mistura letteraria, in un capolavoro di rara e profonda introspezione che lascia senza fiato. Non si può morire senza aver letto Philip Roth. 

(Angelo Cennamo)       

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Il Cardellino - ovvero le avventure di Theo Decker di Donna Tartt,

Come riscrivere Oliver Twist e ambientarlo nell'America del 2000, tra musei, allibratori senza scrupoli e botteghe di antiquari.  Donna Tartt, autrice dalla penna lenta (un romanzo ogni 10 anni) e raffinata, Charles Dickens deve averlo amato abbastanza. Nel 2014 vince il premio Pulitzer con un romanzo di 900 pagine, dalla trama avvincente e molto originale che ruota intorno a un prezioso dipinto realizzato nel 1600 da un allievo di Rembrandt. Il Cardellino - ovvero le avventure di Theo Decker -  e' il più classico dei romanzi di formazione. Durante la visita a una galleria d'arte, un bambino perde sua madre per lo scoppio di una bomba. In un attimo quel luogo austero e consacrato alla bellezza si trasforma in un cimitero di corpi e di opere d'arte in parte trafugate.  E' il crocevia, l'anno zero, della futura esistenza di Theo, che da un visitatore moribondo riceve in dono un anello misterioso e il quadro che la madre gli stava mostrando poco prima dello scoppio. Theo si ritrova  da solo, senza genitori e senza casa. Viene ospitato da una ricca famiglia newyorchese fino a quando non ricompare il padre, precedentemente scappato non si sa dove, che lo porta con sé a Las Vegas dove vive con la nuova compagna. In California comincia il secondo tempo della vita di Theo. Conosce Boris, il ragazzino vagabondo di origini russe che diventerà il suo amico per la pelle e che ritroverà da adulto in una situazione decisiva del racconto. Boris è il Lucignolo di Pinocchio, uno sbandato che inizia Theo all'alcol e alla droga, costringendolo, più avanti nella storia, a commettere un crimine efferato. E il Cardellino? Theo e il quadro sono inseparabili. Quel dipinto lo fa sentire meno mortale, meno ordinario. E' il suo sostegno, una forma di rivalsa, di nutrimento e di resa dei conti. E' il pilastro che tiene in piedi la cattedrale. Theo lo nasconde dappertutto, anche nella bottega di antiquario di Hobie, il suo approdo finale, la sua vera casa, il luogo dove imparerà il mestiere di restauratore, preferendolo agli studi universitari, e dove conoscerà Pippa, la ragazzina scampata come lui a quel tragico attentato e che ha amato fin dal primo giorno. La vita di Theo è come un lungo film d’azione, ricco di suspance, intensità e di momenti tragici. Un’altalena di emozioni sulla quale il lettore rimane col fiato sospeso fino all’ultima frase. Il Cardellino è un grande romanzo d'amore. L'amore incompiuto di Theo per Pippa, l’amore per l'arte e la sua bellezza, e per quel meraviglioso, tormentato e imprevedibile peregrinare che è la nostra vita. Commoventi le ultime pagine, le più intimiste e autobiografiche del racconto. Il guizzo finale che fa di Donna Tartt una vera fuoriclasse della narrativa moderna.

(Angelo Cennamo) 

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