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La leggendaria vita di John Fante.

La leggendaria vita di John FanteChe vita leggendaria quella di John Fante! Un romanzo parallelo a tutti quelli che ha scritto. Forse il più bello. Una vita difficile fatta di stenti e di mete rincorse con mille sacrifici, tra sogni, delusioni e tanti compromessi. Ma il tempo è galantuomo. Prendete ad esempio La strada per Los Angeles, il suo primo romanzo: Fante lo scrisse nel 1936 ma il libro venne pubblicato solo nel 1985, due anni dopo la morte dell’autore. Più o meno la stessa sorte che toccò a Chiedi alla polvere, da molti considerato il  capolavoro di Fante. Pubblicato nel 1939,  Ask to dust venne consacrato come bestseller ben quarant’anni dopo  grazie ad una fortunosa ristampa pretesa da Charles Bukowsky, che di quel libro scrisse anche una toccante prefazione. Racconta Bukowsky che nel personaggio di Arturo Bandini – alter ego di Fante - rivide se stesso, e nella trama del romanzo la sua gioventù sbandata, vissuta alla ricerca affannosa di fama e di denaro.

La saga di Arturo Bandini  ha inizio proprio con La strada per Los Angeles, il libro che Fante non vide mai pubblicato. Bandini è un ragazzo ribelle, megalomane, litigioso, mezzo matto, e anche goffo quando si vanta in pubblico del suo sapere. Per sbarcare il lunario e mantenere una famiglia di “femmine e parassite” si cimenta senza fortuna e con poca voglia in mille mestieri. Li molla tutti. Fino a quando lo zio Frank - quel minus habens, lo scemus americanus - lo costringe a lavorare al porto, in un conservificio. Lui, l’uomo colto, l’instancabile lettore di Nietzsche, Kant e Schopenhauer, lo scrittore! Come può abbassarsi a tanto Arturo Gabriel  Bandini? “Sono qui non per il vil denaro” – dirà il protagonista allo strano tipo che lo ha assunto controvoglia  – “ma per fare un reportage sull’industria ittica americana”. Quanto resisterà il “grande scrittore Bandini” in quel posto puzzolente e degradante? “Con la valigia in mano, scesi allo scalo ferroviario: mancavano 10 minuti al treno di mezzanotte per Los Angeles. Mi sedetti e incominciai a pensare al nuovo romanzo”. Comico, graffiante, emozionante e molto di più.

(Angelo Cennamo) 

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Jeffrey Eugenides, la trama del matrimonio

Recensione LA TRAMA DEL MATRIMONIONegli ultimi giorni di giugno del 2006, per le stradine di Capri si aggiravano tre giovani scrittori americani, ospiti di un noto festival letterario. Di quella indimenticata presenza sull’isola circola in rete una foto destinata a rimanere nella storia. I tre, apparentemente frastornati dal jet lag, sono posizionati l’uno di fianco all’altro, in tenuta casual, appoggiati alla ringhiera della piazzetta, confusi in mezzo agli altri turisti inconsapevoli. Jeffrey Eugenides, Jontahan Franzen e David Foster Wallace, quell’estate del 2006, erano a 40 minuti di aliscafo da casa mia e io neppure lo sapevo. Franzen, allora, aveva già pubblicato il suo capolavoro “Le correzioni” e si apprestava a scrivere il quarto romanzo “Libertà”. Eugenides era reduce dal grande successo di “Middlesex”, che nel 2003 gli era valso il premio Pulitzer per la narrativa. David Foster Wallace, dopo la fatica di “Infinity gest” – romanzo impressionante anche per numero di pagine: circa 1.300 – di lì a poco sarebbe ripiombato nel tunnel della depressione e morto suicida a soli 46 anni.

Non sappiamo quanto quella trasferta napoletana abbia ispirato Jeffrey Eugenides nella composizione de “La trama del matrimonio”, il romanzo pubblicato nel 2011 e arrivato finalista lo stesso anno al National Book Critics Circle Award. E’ facile supporre però che proprio quella vacanza trascorsa in sua compagnia abbia fatto venire all’autore l’idea di ricalcare la figura di uno dei protagonisti della storia “Leonard Bankhead” su quella dello sfortunato amico David. “La trama del matrimonio” è il nome del seminario che la studentessa di lettere, Madeleine Hanna, ha deciso di frequentare prima di dedicarsi alla tesi di laurea. Madeleine si è iscritta alla facoltà di Lettere per la più banale delle ragioni: perché ama leggere. I suoi autori preferiti sono: Jane Austen, George Eliot e Henry James. Le letture di Madeleine e dei suoi compagni di corso sono una parte essenziale del romanzo, una presenza quasi ingombrante, ossessiva. Al punto che a Eugenides verrebbe la voglia di dire: d’accordo, Jeffrey, sei un vero intellettuale, hai una biblioteca fornitissima. Ora però lasciaci leggere il tuo libro in santa pace. La trama del romanzo è il più classico dei triangoli: Mitchell  - giovane e goffo laureando in storia delle religioni - si innamora di Madeleine, la quale però si invaghisce del più affascinante Leonard, lo studente con la bandana che lotta di nascosto contro la depressione. Mitchell non si arrende, ma la grande occasione che gli capita per invertire il corso degli eventi la sciupa, forse per un eccesso di timidezza. Passano gli anni, Madeleine dovrà fare i conti con le turbe psichiche di Leonard e con i suoi continui ricoveri in ospedale. Ma lo ama e decide di sposarlo, anche contro il volere della famiglia. Mitchell nel frattempo è in giro per il mondo alla ricerca di una nuova dimensione spirituale. Il pensiero di Madeleine continua a tormentarlo. Non sa del matrimonio. Un giorno, per una strana coincidenza, i tre si ritroveranno. Con conseguenze imprevedibili. “Non esiste la felicità nell’amore tranne che alla fine di un romanzo inglese” diceva Trollope. “La trama del matrimonio” è un romanzo coinvolgente, di difficile lettura ma scritto con eleganza e competenza. Mancano il trasporto e le suggestioni di “Middelsex”, il libro che lo ha preceduto, ma scrivere due capolavori di fila è arduo anche per un fuoriclasse come Eugenides.

(Angelo Cennamo) 

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Ricordare Pier Paolo Pasolini

Ricordare Pier Paolo PasoliniLa notte tra l’uno e il due novembre del 1975, all’idroscalo di Ostia, veniva ucciso, in circostanze tuttora poco chiare, Pier Paolo Pasolini. Di quel giorno conservo un vago ricordo  fatto di immagini frammentate, in bianco e nero. Le prime che i telegiornali della rai, gli unici del tempo, mandarono in onda non appena si diffuse la notizia. Il fango, le pozzanghere, le baracche di quel luogo così povero e desolato rendevano bene l’idea dello squallore e della tragicità dell’evento annunciato. Ma anche il contesto dove Pasolini aveva ambientato tutta la sua parabola di uomo e di narratore: la periferia. Avevo 7 anni e di quell’uomo dal volto scavato e dai grossi occhiali scuri, ucciso così barbaramente, non ne sapevo nulla. Sicché scoprii la sua esistenza – l’esistenza del poeta Pasolini – proprio mentre il telegiornale dava l’annuncio della sua morte.

A distanza di 40 anni da quella tragica notte, l’Italia piegata dal malaffare e dalla corruzione, l’Italia precipitata nel peggiore degrado culturale e politico che abbia mai conosciuto, riesce sorprendentemente a trovare un guizzo, un sussulto di dignità e di orgoglio per ricordare la sua figura ( e non quella di Calvino, del quale pure ricorre il trentennale dalla morte) e per riaffermare il senso e il valore della sua opera a beneficio delle nuove generazioni. Rileggevo le prime pagine di “Ragazzi di vita”, uscito in questi giorni in allegato con il Corriere della sera, e riflettevo su quanto la vicende personali di Pasolini: l’omosessualità, i vizi e i processi collegati in parte anche a quel vissuto così scandaloso e trasgressivo, abbiano finito per sovrastare la bellezza e l’unicità della sua produzione letteraria e cinematografica, relegandola ad una ingenerosa collocazione di nicchia. Non mi sorprende che sia potuto accadere in un Paese bigotto, ipocrita e provinciale come il nostro. Dove perfino la cultura diventa motivo di scontro politico o, se preferite, tifo da stadio, tra destra e sinistra. Figurarsi poi negli anni settanta. Ma perché dopo tutto questo tempo dovremmo ricordare Pier Paolo Pasolini? E qual è il valore dell’eredità che ci ha lasciato? Una risposta a questa domanda possiamo trovarla negli “Scritti corsari”, la raccolta degli editoriali che lo scrittore eretico pubblicò proprio sul Corriere di Piero Ottone. A cominciare dal più noto “Io so”. E’ l’eterna attualità delle sue opere la ragione per la quale ci piace ricordare Pasolini. L’immutata freschezza delle analisi sociologiche, oltre la profondità, la poesia e la modernità dei suoi romanzi e dei suoi film. Oggi, a distanza di quarant’anni dalla morte, Pasolini ci manca moltissimo. Ci manca la ferocia e il coraggio delle sue invettive. Ci manca l’anticonformismo con il quale combatteva l’omologazione e l’appiattimento della cultura di massa. La stessa che per quarant’anni lo ha collocato ed archiviato nel reparto imperioso degli intellettuali di sinistra. Lui che negli scontri di Valle Giulia difese i poliziotti figli di contadini contro gli studenti “proletari” figli di papà. E che storceva il naso di fronte a capelloni e cantanti beat.

Non ha fatto in tempo, Pasolini, a completare la sua mutazione genetica da integralista di sinistra ad eretico reazionario, nel solco di un’altra grande scrittrice e giornalista del suo tempo: Oriana Fallaci. Resta però il ricordo e la traccia indelebile di un’artista intorno al quale questo Paese così sgangherato, alla disperata ricerca di simboli e di modelli positivi, fa bene a stringersi per ritrovare un’identità forte, consapevole,  e per salvarsi da un imbarbarimento che sembra non avere fine.

(Angelo Cennamo)      

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